il manifesto 25.6.16
«La working class si ritroverà beffata»
Intervista
a John Dickie. «Il paese è spaccato in due, ma i leader del leave hanno
aizzato questo fenomeno dell’ostilità contro l’immigrazione, alimentato
il mito del furto di posti di lavoro - economicamente un ragionamento
del tutto analfabeta»
di Leonardo Clausi
LONDRA
Il professor John Dickie insegna Italian studies presso l’University
College di Londra. È uno specialista dell’Italia riconosciuto a livello
internazionale e i suoi libri sono stati tradotti in svariate lingue.
Gli abbiamo chiesto una valutazione sugli eventi di ieri per i quali
esprime subito «sgomento, sia a livello collettivo che personale, di
studioso: lavoro in un dipartimento di lingue dove abbiamo il numero più
alto di studenti dall’Ue. Per noi ci sono gravissime incertezze».
Non c’è stata una grave sottovalutazione dei possibili risultati durante la campagna?
Ci
siamo fidati della City, che sembrava tranquilla. Ma si sono sbagliati
pure loro. È un risultato in cui ci sono esigenze del tutto
contraddittorie: da una parte ci sono i conservatori liberali che
vorrebbero una Gran Bretagna aperta e libera e dall’altra parte il voto
di una buona fetta di quelle che erano un tempo le roccaforti del
laburismo: le zone deindustrializzate, che hanno interpretato il leave
in senso opposto, cioè come modo per chiudersi, per fermare
l’immigrazione e procurarsi maggiore accesso ai sussidi o forse anche
solo vendicarsi. Perché c’è una metà di questo paese che non ha
conosciuto i vantaggi della globalizzazione e dell’Ue.
Ma non è anche un voto concesso per beghe interne ai tories che attraverso l’errore tattico di Cameron sfascia due Unioni?
È
vero. Ma anche Tony Blair ha fatto un errore tattico: quando fu eletto
nel ’97 la prima volta, aveva la grande capacità di convincere proprio
quell’elettorato laburista che ci ha mandato fuori dall’Europa. Voleva
mettere la Gran Bretagna al centro dell’Europa e all’epoca gli si chiese
se non voleva indire un referendum proprio per blindare questa
proposta. Ebbene, scelse di non farlo. Indubbiamente questo è un voto
popolare, e in quanto tale va rispettato. Dobbiamo guardare avanti.
Il
paese è spaccato fra un ceto medio giovane globalizzato,
prevalentemente londinese e nelle aree urbane, e il resto del paese di
anziani e di una working class estromessi dalla narrativa dominante.
Si
è parlato di una frattura fra élite e popolo, me se fosse così avremmo
un’élite del 48%: dunque non dobbiamo concedere troppo a questa retorica
populista. Il paese è spaccato in due, ma i leader del leave hanno
aizzato questo fenomeno dell’ostilità contro l’immigrazione, alimentato
il mito del furto di posti di lavoro – economicamente un ragionamento
del tutto analfabeta. Per loro è stato un gesto senza costi politici e
infatti ora stanno facendo marcia indietro. Proprio quell’elettorato a
cui si sono rivolti è un elettorato laburista. Con il nostro sistema
uninominale conta la concentrazione territoriale del voto e dunque i
tories euroscettici possono dimenticarsi tranquillamente di questa
working class che si ritroverà beffata nuovamente, con esiti
difficilmente prevedibili.
Il paese dall’assetto sociale più
solido dell’occidente, mai sconfitto, mai rivoluzionato, mai investito
da fascismi o marxismi che diventa il laboratorio sociale
dell’instabilità europea?
Vediamo quanto dura questa crisi. Ma ce
ne sono varie. Quella costituzionale, per la possibilità che la Scozia
se ne vada e che alzi una frontiera con l’Inghilterra mai esistita.
Stessa cosa con l’Irlanda del nord. Poi ce n’è una politica. I tories
hanno una maggioranza di deputati a favore del remain e dovranno
regolare questa difficilissima transizione con una maggioranza che non
voleva il leave. Dunque i tories anche se sono avvantaggiati sono
spaesati, mentre il Labour sta candendo a pezzi. Ha una voragine che lo
separa proprio dalla propria vecchia base che ha votato leave. Ci sono
stati sondaggi incredibili durante la campagna secondo cui il 50%
dell’elettorato laburista credeva che il partito e Corbyn fossero per il
leave. Credo sia dovuto a incompetenza politica, una situazione dalla
quale è difficile riprendersi.
Ma entrambi i leader dei due
maggiori partiti sono in fondo euroscettici. Lo è Cameron che viene da
un partito che ha l’euroscetticismo nel proprio Dna e lo era anche il
labour pre-Blair da cui discende Corbyn… chi ora vuole abbattere Corbyn
non lo fa per allontanare da sé la responsabilità di questo scollamento
dall’elettorato?
È vero. Questo allontanamento del Labour dalla
propria base elettorale è andato crescendo nel tempo ed è di vecchia
data. Ha lasciato i perdenti al di fuori della modernizzazione e non
l’ha inventato Corbyn. Che ora sarà difficile da rimuovere dal suo
posto, visto che ha la base dalla sua parte. Sarà interessante vedere
come reagirà a questo shock una base che è molto concentrata a Londra e
filo-Ue, se sarà in grado di scuotere la credibilità di Corbyn. Il
problema dell’immigrazione è una soluzione immaginaria a problemi reali e
ha catturato la fantasia dell’elettorato popolare del centro e del
Nord. Le ironie si sovrappongono, perché il voto per il leave si è
concentrato in zone dopotutto a bassa immigrazione mentre è il contrario
per il remain, impostosi a Londra dove ce ne sono molti. Se Corbyn
propone vecchie soluzioni anni Settanta che per carità hanno un aspetto
di validità, protezione del lavoro e della spesa pubblica, questo
elettorato non le accoglierà perché se avesse sentito un discorso più
economico pro-Ue avrebbe votato a favore del remain. Per cui ora temo
una deriva populista, vedo l’elettorato di Trump del futuro.