il manifesto 23.6.16
«Sinistra Pd, se vince il sì il renzismo rinasce»
Alfredo
D’Attorre di sinistra italiana: a Bersani dico ’vota no’. Il vecchio
centrosinistra non torna, serve un nuovo polo progressista
intervista di Daniela Preziosi
ROMA
La minoranza Pd chiede a Renzi una svolta sulle politiche sociali del
governo, il cambio dell’Italicum e la fine del doppio incarico
segretario-premier. Alfredo D’Attorre è uscito da quel partito e da
quella corrente. E al fatto che Renzi possa scendere a patti con la sua
sinistra interna non crede. «L’appello a Renzi perché cambi è un rito
magico. Neppure chi lo fa ci crede davvero», dice. «E comunque non si
può ridurre tutto all’Italicum e al doppio incarico: se anche ci fosse
un’altra legge elettorale, e un altro segretario del Pd, le politiche
del governo resterebbero le stesse. Avverto anche che la reintroduzione
del premio alla coalizione non ricostruirebbe di per sé il
centrosinistra. Va sconfitto l’impianto economico e sociale della
politica renziana. L’appuntamento per sconfiggerlo c’è: il referendum di
ottobre».
Ma per ora solo D’Alema ammette di votare no. Bersani e i suoi votano sì.
Chi
contesta la deriva del partito della nazione e invoca il ritorno del
centrosinistra non può stare dalla parte del sì. Il sì sarebbe la
definitiva affermazione del modello renziano. Il referendum è il vero
congresso del Pd, chi vuole determinare un cambio di indirizzo, non può
stare con Renzi.
Per la minoranza Pd è l’ultimo treno?
Non
hanno votato l’Italicum, quindi hanno un argomento gigantesco per votate
no. E l’Italicum di fatto fa parte del complesso sostanziale su cui si
voterà a ottobre. Se vince il sì sarà la resurrezione del renzismo. Se
vince il no è difficile che chi resta accodato a Renzi abbia un ruolo.
Per Renzi, ma anche per la minoranza, fuori dal Pd nulla salus. E le amministrative sembrano dimostrarlo.
Renzi
vada piano con il requiem. Il risultato della sinistra è stato
inferiore alle aspettative, ma non ovunque: penso fra gli altri ai casi
di Sesto Fiorentino e Napoli. Certo a Torino e Roma non è andata come
speravamo. I nostri candidati si sono battuti ma il voto è capitato nel
momento peggiore per noi. Sinistra italiana non ha presentato il simbolo
tranne che a Sesto, e il quadro delle alleanze è stato a variegato. Ma
il nostro progetto parte ora.
Renzi ammette la sconfitta. Voi no?
Guardi che l’ho detto.
Il Pd ha perso molti voti, ma questi voti non sono andati a voi. Perché?
Ancora non siamo percepiti come strumento credibile e forte di cambiamento.
Quando attirerete quei voti?
Ora
dobbiamo costruire una piattaforma di radicale novità rispetto al
centrosinistra del passato. Renzi non è l’origine di tutti i mali, è
l’estremizzazione di un ciclo di subalternità della sinistra ai vincoli
europei e al paradigma liberista. Occorre una proposta nuova in termini
di rottura dei vincoli europei, di nuova centralità del lavoro, dei
diritti sociali e ambientali, e di un’idea della democrazia che non
accetti più il sacrificio della rappresentanza in nome della
governabilità. Non abbiamo in testa un ritorno al passato. Sconfiggere
il renzismo non significa tornare al centrosinistra benpensante e
allineato alle compatibilità europee e alle riforme strutturali.
Insomma, lo voglio dire ai miei compagni della sinistra Pd, non si
ricostruisce una prospettiva progressista in questo paese nel nome di
Andreatta, padre dell’Ulivo ma anche della tesi del liberismo
progressista. Ma non possiamo rinchiuderci in una ridotta di
testimonianza. Il mondo progressista oggi non ha rappresentanza né
approdo. Il referendum è la tappa per sconfiggere Renzi e aprire una
nuova stagione politica che punta a costruire una nuova alleanza.
Nella sua sinistra lo slogan «mai più con il Pd» è piuttosto diffuso.
Detta
così è una proposta statica e regressiva. Dobbiamo liberarci dalle
catene che hanno ingessato la nostra discussione interna. La nuova
strada la indicheremo a partire dal referendum. La vittoria del no
archivierà questa stagione politica. Poi vedremo cosa succederà al Pd.
Lì dentro ci sono ancora energie democratiche che sarebbe settario e
sbagliato non considerare interlocutori in vista di un nuovo
schieramento. Nessuna nostalgia, ripeto. La parola centrosinistra può
essere segnata da politiche ormai da archiviare. Anche Prodi ormai lo
dice. Ma il tema di come si ricostruisce un polo progressista, di una
sinistra popolare e di governo, ce lo dobbiamo porre.
Anche perché M5S non ha alcuna intenzione di allearsi con voi, anche dopo aver vinto grazie a una parte dei vostri voti.
Infatti,
dobbiamo avere una proposta che sappia anche assorbire la sinistra che
c’è nei 5 stelle. Ma ora pensiamo al referendum. Dopo la vittoria del no
non c’è il caos: c’è un accordo per una nuova leggere elettorale in
pochi mesi e poi la parola torna ai cittadini.
Non tutti quelli che avete coalizzato nelle città la pensano come lei sul nuovo polo progressista.
Nelle
città ci saranno luoghi di confronto, forse associazioni, utili a
coinvolgere le energie della campagna elettorale. Sul punto
discriminante del no al referendum siamo tutti d’accordo. Noi però
abbiamo l’ambizione di costruire un partito e non una lista elettorale.
Sinistra italiana è un campo largo, il congresso definirà una linea ma
in cui convivranno anche posizioni diverse. Non un partito in cui chi
perde se ne va o è emarginato.
Ecco, nel vostro dibattito si
segnalano a volte toni da «dentro o fuori». Un congresso identifica
maggioranze e minoranze. Le critiche che rivolgete a Renzi in fatto di
democrazia interna valgono anche per voi?
Certo. Se replicassimo
quel modello saremmo ridicoli. Sarebbe insensato costruire un partito
leaderistico fondato sul pensiero unico in cui chi ha idee diverse non
ha cittadinanza. Per questo dobbiamo fare in modo che il meccanismo
congressuale favorisca il confronto fra le idee e non fra le persone e
le cordate.