il manifesto 23.3.16
Sinistra, vecchia e nuova unico cantiere
Nel
suo libro, "La stagione difficile della sinistra" Goffredo Bettini non
fa sconti al suo Pd dove «prevalgono prudenza, silenzio, ambiguità» e
torna sulla questione del campo largo
di Mario Tronti
«Impraticabilità
di campo», è il sottotitolo di questo libro di Goffredo Bettini: La
difficile stagione della sinistra (Ponte Sisto, 2016, pp. 325). C’è un
punto interrogativo, nel sottotitolo. Lo possiamo togliere, almeno
provvisoriamente, a leggere i risultati, primo e secondo turno, delle
ultime elezioni amministrative.
«Campo» è un concetto che sta
molto a cuore all’ultimo Bettini. Andrebbe definito così, organizzato
così, a suo dire, quello che è lo spazio, sociale e politico, di una
sinistra, oggi.
Campo plurale e unitario, coeso ed esteso, mille fiori, mi pare di aver capito, pur in un partito a vocazione maggioritaria.
Il
libro vede un dialogo serrato, a volte brillante, a volte pensoso, con
Carmine Fotia. Dodici capitoletti, che vanno da Disciplina, Potere,
Nostalgia ad una approfondita considerazione su Europa. In mezzo, una
lettura, molto personale, dell’attuale fase politica e una lunga
digressione sulle vicende del Pd romano: su queste ultime mi permetterò
di sorvolare.
Bettini, come tutti sanno, è stato per molto tempo
dominus, nell’ambiente politico e culturale della capitale, segretario
della Federazione romana del Pci, da giovanissimo membro della Direzione
del partito, protagonista nelle successive esperienze, Pds, e Ds, ai
vertici del Pd, nel suo incipit veltroniano. Dal chiudersi di quella
breve stagione, ha tratto la scelta di uno splendido isolamento. Credo
gli abbia fatto bene. I suoi pensieri adesso volano più liberi, rompono
gli schemi angusti delle emergenze quotidiane, con i loro riti e
linguaggi freddi e consueti, nutre la passione politica con una bella
cultura: nel libro, trovate citazioni da Baudelaire a Leopardi, da
Jünger a Heidegger, da Severino a Canetti e altri, di questo calibro.
L’autore possiede del resto una intelligenza politica lucida, con cui ho
trovato spesso il piacere di confrontarmi. Ma chiudiamo con gli elogi e
veniamo al merito.
«La politica, in particolare il Pci, mi ha
formato alla disciplina, alla responsabilità verso se stessi e verso gli
altri», scrive Bettini. Disciplina come autodisciplina, qualcosa che
non viene dall’alto ma da dentro, non imposta ma scelta. Coincide con la
vera libertà. Libertà anzitutto dal potere: che è come una droga.
«Produce nel cervello sostanze assuefacenti. Ti si appiccica facilmente
addosso e dopo non ne puoi più fare a meno». La politica per il potere
ha sostituito il potere per la politica: da mezzo è diventato fine. Tra
l’altro, piccolo ma consistente potere, locale e personale. «È cresciuta
una generazione di quadri abituata a navigare, a barcamenarsi, la cui
parte più di talento occupa postazioni importanti nelle città, nelle
regioni o nel governo nazionale. Prevalgono la prudenza, il silenzio,
l’ambiguità, la manovra di aggiramento, il segnale, il far intendere…».
Giudizi
troppo severi? Non saprei. Detti comunque da uno che ha visto questo
spettacolo intorno a sé. «Non è che sono diventati tutti cattivi.
Nessuno è totalmente bianco o nero. La verità è che ci adatta dentro le
forme che si trovano e si accettano». Le forme, appunto, ancor prima dei
programmi. Non è in questi ultimi il difetto, nemmeno nelle loro
realizzazioni, sbagliate o mancate che siano. «Il passaggio tra il
Novecento e il nuovo millennio ha consumato le nostre strutture e
categorie residuali: le alleanze, i blocchi storici e sociali e la loro
composizione e scomposizione, l’unità della nazione, ’gli italiani’, le
coalizioni, i partiti pesanti e leggeri, le lotte di massa e la
conquista delle casematte». Nostalgia per questo mondo perduto. Abbiamo
passato gli ultimi decenni a cantare le magnifiche sorti e progressive
dei nuovi inizi. E invece è dalla presa d’atto di questa tragedia che
nuovi pensieri e nuove pratiche dovrebbero ripartire, non per riformare
ma per rivoluzionare, le attuali “forme” della politica: «Nelle attuali
’forme’ non c ‘è alcun recupero della devastazione culturale e
antropologica che è in atto».
Stiamo parlando, ve ne sarete
accorti, anche dei numeri che ci sono piovuti addosso, come un temporale
d’estate, la notte di domenica. Mi sento di sottoscrivere queste parole
di Bettini, cariche di passione politica realistica: «Sai quanto ho
amato Roma. L’ho descritta in un mio libro: scanzonata e generosa,
disincantata e partecipe, ferita dal tempo ma fortemente vitale. Oggi è
insopportabile, stressata e cattiva: un grande pachiderma che si muove
per colpire alla cieca ».
Aggiungo io. Il dramma, da cui occorre
trovare il modo di uscire al più presto, con tutti i mezzi, è la
terribile corrispondenza che si crea tra il degrado nelle forme della
politica e il degrado nelle forme della rivolta contro la politica.
È
fatale. Quando il potere si fa oligarchico, la contestazione del potere
si fa plebea. E non è solo Roma, nemmeno solo Italia, è Occidente,
Europa e, vediamo, Stati Uniti.
Ho fatto parlare solo il libro.
Penso che così bisogna fare quando di un libro si parla. Nella
conversazione con Fotia, si incontrano poi tanti altri temi. Ma il punto
di problema è nel titolo. Sì, è proprio difficile questa stagione della
sinistra. È un passo avanti che Bettini dica sinistra più che
centrosinistra: quindi un campo che, in quanto tale, in quanto forza di
sinistra, ambisce a conquistare un consenso maggioritario. È una sfida.
Le difficoltà servono, non per fermarsi, o per tornare indietro, ma per
rilanciare idee e pratiche in avanti. Mi pare questo il senso
propositivo del libro. Il passaggio stretto consiglia forse una scelta
netta. Non è vero che sinistra esiste in natura. Esiste nella storia. E
cambia di forma, di forza, di conflitti e di senso nel corso della
storia.
Allora, la devi ogni volta reinventare: è accaduto che
andava ricostruita, è accaduto che andava costruita. Credo che le due
esigenze si presentino oggi insieme. Ricostruire vuol dire ristrutturare
le fondamenta date dalle grandi gloriose esperienze del passato.
Costruire vuol dire progettare un disegno nuovo dell’edificio, moderno
ma solido, affascinante e funzionante. Fuor di metafora, vecchia e nuova
sinistra è bene che lavorino, sodo, in unico cantiere: a rendere
praticabile il campo.