il manifesto 20.6.16
Virginia Raggi stravince nella Capitale
Roma.
La prima volta di una donna sindaco. Festa al quartier generale: si
rifanno vivi Davide Casaleggio e Beppe Grillo. «Siamo pronti a
governare» dice senza mezzi termini un raggiante Di Maio ai suoi
di Giuliano Santoro
ROMA
Gli occhi si levano al cielo. Non per «rivedere le stelle», come dice
lo slogan dantesco del M5S ma per spiare dal maxischermo della terrazza
del quartiere Marconi che ospita il comitato elettorale di Virginia
Raggi.
Le prime cifre sono inequivocabili: Raggi vola,
irraggiungibile. Dalla strada, qualche decina di sostenitori si mescola a
un gruppo di turisti in uscita dall’hotel di fronte. Si esulta con
moderazione, quasi con timidezza.
«È una vittoria che ci
aspettavamo», dice con naturalezza un ragazzo sulla trentina mentre
srotola una bandiera ad uso delle telecamere.
«Ricostruiamo un
senso di comunità», ha detto Raggi in queste giornate di campagna
elettorale in uno dei suoi slogan (invero non troppo originali). Ma i
festeggiamenti algidi dicono che la tendenza millenaristica, dogmatica e
un po’ settaria del Movimento 5 Stelle è stata masticata e digerita da
questa città. È stata filtrata dal disincanto e dal cinismo dei romani.
Diventa
altro, si trasforma investimento sarcastico, rappresenta una scelta
disillusa. I romani stanno a guardare, con una specie di empatia
distaccata che ha poco a che vedere con la divisione tra bene e male,
tra «gente» e «casta» della prima fase del grillismo.
«Non
chiamateci più grillini», dicono davanti all’albergo dell’Ostiense. Al
di là della semantica, in questa serata di fine primavera l’immagine del
grillino cospirazionista si appanna. I personaggi pittoreschi si fanno
da parte il Movimento 5 Stelle visto dalle settimane di battaglia romana
appare poroso, più nebulosa e meno blocco ferreo. Come la città che si
appresta ad amministrare. Prima del clamoroso successo delle elezioni
politiche del 2013, il M5S si prese Parma un’altra città con i bilanci
dissestati.
Quella vittoria rappresentò un salto nell’immaginario
politico e nel modo in cui venivano percepiti i pentastellati. Da voto
di protesta divenne opzione amministrativa, risorsa civica sulle ceneri
dei partiti. Adesso, la vittoria di Roma rappresenta un passaggio di
fase ulteriore. È una vittoria che allude, lo dicono tutti al comitato
di Raggi e ne parlavano i parlamentari nei comizi da settimane, al salto
di qualità nazionale, che prelude alla sfida delle politiche. «Siamo
pronti a governare» dice senza mezzi termini uj raggiante Di Maio ai
suoi.
Il non-partito che è stato definito «macchina per
ballottaggi» capace di rastrellare consensi a destra e a sinistra
dell’avversario, diventa qualcosa di più grande. Lo fa bypassando la
figura di Beppe Grillo, che comparirà solo all’ultimo minuto, per
festeggiare nella notte in una piazza romana che lo ha atteso per
giorni. Doveva essere piazza del Popolo, poi si vocifera il Campidoglio,
alla fine tutti al parco Schuster, sempre all’Ostiense.
«Il clima
è positivo, al di là del risultato», si limita a dire Luigi Di Maio ai
giornalisti, a ridosso degli exit poll. Il M5S si prende Roma in questo
modo un po’ dimesso, una rivoluzione con basso profilo che si è
appoggiata al carisma dei nuovi leader.