il manifesto 2.6.16
Fasce e frecce tricolori
2 giugno. I pacifisti scrivono, Mattarella tace
di Giulio Marcon
Celebrare
con la sfilata delle Forze Armate la Festa della Repubblica sta
diventando sempre di più un esercizio retorico e anche un po’ tronfio.
Il 2 giugno è una ricorrenza civile, non una festa militare. Le Forze
Armate hanno già la loro «giornata» (il 4 novembre) e la Costituzione
della nostra Repubblica recita all’articolo 11: «L’Italia ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali».
Festeggiare
la Repubblica all’insegna dell’esibizione militarista non è mai un bel
segno: lo fanno di solito – per la loro festa nazionale – i Paesi con un
forte imprinting nazionalista e soprattutto i regimi autoritari.
Quest’anno, per cercare di prevenire le critiche, alla parata del 2
giugno verranno fatti sfilare qualche decina di sindaci con la fascia
tricolore.
Una sorta di gadget civile prima di vedere sfilare
mezzi militari e battaglioni armati. Forse i sindaci avrebbero fatto
meglio a rimanere nei loro municipi, aprendo le porte i cittadini e
regalando loro una copia della Costituzione, che continua a rimanere la
carta d’identità della nostra comunità. Meno male che ci hanno
risparmiato i marò (come sembrava invece fino a qualche giorno fa):
sarebbe stata una strumentalizzazione inaccettabile.
Dal 2010 ad
oggi abbiamo buttato al vento più di 15 milioni di euro per la sfilata
militare del 2 giugno. Con gli stessi soldi, 2mila volontari in servizio
civile avrebbero potuto assicurare per quasi un anno importanti servizi
sociali a disabili, minori e anziani. E con gli stessi soldi avremmo
potuto mettere in sicurezza una cinquantina di scuole nelle zone
sismiche. Ma evidentemente sono più importanti le frecce tricolori e il
rumore degli scarponi ai Fori Imperiali.
Il 2 giugno è la «Festa
della Repubblica che ripudia la guerra», hanno dichiarato le
organizzazioni della campagna «Un’altra difesa è possibile» (Rete
Disarmo, Sbilanciamoci!, le organizzazioni del servizio civile, il
Tavolo Interventi Civili di Pace), chiedendo a Mattarella la sospensione
della parata. Il Presidente non ha risposto. E anche la ministra della
Difesa, Roberta Pinotti non ha mai risposto ai pacifisti che vogliono
incontrarla da più di due anni: forse teme il confronto o forse la
condiziona il suo passato da marciatrice pacifista a Porto Alegre e alla
Perugia-Assisi. Ora frequenta ben altre marce.
In passato la
parata militare è stata sospesa in più di un’occasione, come ad esempio
nel 1976 (per rispetto delle vittime del terremoto in Friuli) e negli
anni successivi. Fu reintrodotta da Ciampi nel 2000, in un ritorno di
retorica patriottarda. Mentre il lavoro – a fondamento della nostra
Costituzione – continua a mancare, il progetto da 16 miliardi di euro
degli F35 va avanti, la Finmeccanica fa affari d’oro e la spesa militare
nel 2016 dei Paesi europei (tra cui l’Italia) aderenti alla Nato è
cresciuta rispetto al 2015.
Non c’è niente da festeggiare con una
parata, quando si costruiscono cacciabombardieri che possono sganciare
ordigni nucleari o quando aumentano le spese militari. Sfilare il 2
giugno con le armi mentre tutto l’anno disoccupati, cassintegrati e
giovani sfilano nelle piazze per chiedere lavoro e il rispetto dei
diritti sociali della Costituzione non è una gran cosa. Di fronte a
quasi il 12% di disoccupati (tra cui 2 milioni di giovani), a migliaia
di anziani che rinunciano a curarsi per mancanza di soldi e a oltre il
15% di giovani che smettono di studiare prima della fine della scuola
dell’obbligo, il 2 giugno dovrebbe essere ricordato con maggiore
sobrietà e sensibilità. E non con lo sfarzo militaresco di una parata
anacronistica.