il manifesto 19.6.16
Ecco perché ho accettato la proposta di Raggi
Urbanistica.
C'è una maturazione politica e culturale, sono arrivate due proposte di
lavoro coraggiose. La candidata romana con me e Chiara Appendino con
Guido Montanari hanno scelto di ricostruire il profilo della legalità
mettendo in soffitta la cultura delle deroghe e privilegiando il diritto
sociale alla città e ai beni comuni
Paolo Berdini
Roma
è una città fallita. Ai 13,5 miliardi certificati dal Commissario
governativo ne vanno aggiunti due degli anni del sindaco Marino e un
numero finora imprecisato che proviene dall’accensione di titoli
derivati. Roma supera dunque i parametri di legge che regolano
l’indebitamento degli enti locali e se il Governo volesse – e non è
detto che non giocherà questa carta – potrebbe sciogliere il governo
municipale. Dei candidati sindaci che si sono presentati al primo turno
solo Raggi e Fassina hanno posto con chiarezza la questione proponendo
l’apertura della rinegoziazione del debito. Silenzio da tutti gli altri,
compreso quello di Giachetti.
La causa strutturale del debito sta
nell’anarchia urbanistica. Negli ultimi 20 anni si è costruito
dappertutto al di fuori di ogni regola sicuri che la mano pubblica
avrebbe portato i servizi indispensabili. L’ultimo scandalo riguarda ad
esempio un intero quartiere nato in aperta campagna a tre chilometri
dall’ultima periferia, Pian Saccoccia, a cui il comune deve garantire
trasporti e raccolta dei rifiuti. A fronte di pochissimi che hanno
intascato una rendita immobiliare enorme, la collettività accumula
debito mentre Atac e Ama sono sull’orlo del fallimento.
Il
manifesto ha denunciato sistematicamente in questi anni gli effetti
dell’urbanistica derogatoria e il risultato di questo prezioso lavoro
sta nel volume di recente pubblicazione Viaggio in Italia che raccoglie i
ragionamenti collettivi provocati da una intuizione di Piero Bevilacqua
e curato con Ilaria Agostini. Il quadro che emerge è la crisi
irreversibile delle città, come noto amministrate in larga parte dal
«centro sinistra». È dunque evidente che sussiste ancora una difficoltà
culturale nella sinistra a fare i conti con gli errori del recente
passato, quando sono stati sacrificati gli interessi dei cittadini per
privilegiare quelli economici e finanziari dominanti. L’effetto di
questa scelta di campo è resa evidente dal voto del 5 giugno scorso: in
tutte le periferie urbane la sinistra non intercetta più il malessere
delle famiglie impoverite da una crisi senza fine e dalla cancellazione
del welfare. Questa parte di società ha invece scelto di premiare a
Torino e Roma il movimento 5stelle e dobbiamo chiederci i motivi di
fondo di questo orientamento.
I gruppi parlamentari 5stelle hanno
contrastato con forza lo «Sbocca Italia» imposto per decreto dal governo
Renzi che ripropone l’ennesima e sempre più accentuata stagione
derogatoria così come si sono battuti contro quella che viene
vergognosamente chiamata la legge contro il consumo di suolo e che
contiene invece altri meccanismi che lo incentivano. In buona sostanza,
quella complessa galassia piena di contraddizioni lucidamente sollevate
da Alberto Asor Rosa su queste pagine, si è però saldamente impadronita
della cultura urbana che era il vanto della sinistra.
Da questa
maturazione politica e culturale sono arrivate due proposte di lavoro
coraggiose. Virginia Raggi con me e Chiara Appendino con un’altra figura
di rilievo dell’urbanistica democratica, Guido Montanari, hanno scelto
di ricostruire il profilo della legalità mettendo in soffitta la cultura
delle deroghe e privilegiando invece il diritto sociale alla città e ai
beni comuni. È lo stesso percorso scelto, come notava ieri Norma
Rangeri, a Napoli da Luigi De Magistris sia nella sfida per l’acqua
pubblica sia nel rispetto del piano urbanistico di Vezio De Lucia. È per
questo motivo che ho ritenuto di accettare la proposta offertami da
Virginia Raggi di guidare l’urbanistica di una città fallita a causa
della mala urbanistica.