il manifesto 19.6.16
Raggi fa incetta di voti dispersi e diventa il baricentro politico
SCENARI
Nell’analisi dei flussi elettorali, curve speculari per Pd e Si. Almeno
a Roma, il sogno renziano del Partito della Nazione, soggetto leggero,
trasversale a classi sociali e collocazione politica, si realizza col
M5S.
Giuliano Santoro
Edizione del
19.06.2016
Pubblicato
18.6.2016, 23:58
La
macchina si rimette in moto, i seggi riaprono e il claudicante
dispositivo del silenzio prima del voto vacilla. È il secondo tempo di
una partita elettorale che ha ridisegnato la politica romana e che pare
destinata a cambiare gli equilibri politici di una città e probabilmente
del paese. Decifrarne la cartografia serve a capire meglio il voto di
oggi e anche a prevedere gli scenari futuri.
Parte davanti
Virginia Raggi. Ha raccolto il vantaggio che le hanno lasciato i partiti
(tutti) all’indomani di Mafia Capitale e le rocambolesche vicissitudini
del sindaco Ignazio Marino.
La mappa del voto indica la capacità
di Raggi di raccogliere il voto delle periferie, della parte di città
globale dimenticata, al di fuori del parco a tema per turisti e
benestanti. Ma i freddi numeri dicono qualcosa di più.
Intanto,
raccontano un voto speculare all’incapacità del Pd e della sinistra di
uscire dalla ridotta della città storica. «Il voto al Pd e alla Sinistra
di Fassina è inversamente proporzionale alla distanza dal Campidoglio,
al contrario di quello al M5S» spiega analizzando il risultato del primo
turno per il Centro per la Riforma dello Stato Federico Tomassi. Il
quale osserva che le curve dei voti per Stefano Fassina e Roberto
Giachetti in qualche modo «si somigliano», seguono andamenti
corrispettivi. I voti dei delusi del Pd non vanno a sinistra del Pd.
Chi smette di votare per gli ex partiti del centrosinistra opta per tutt’altra soluzione.
Alle
comunali del 2013, avevano votato per i 5 Stelle i giovani meno
istruiti, i meno occupati e i residenti dei quartieri a bassa densità.
Il M5S era il partito dello sprawl urbano, della città dispersa in cerca
di rappresentanza.
Questa volta, pur mantenendo quella base,
Raggi va meglio tra giovani imprenditori e ceto medio e (relativamente)
peggio tra donne e poveri. Pesca in periferia ma anche nel ceto medio
riflessivo. «La distribuzione del consenso adesso rispecchia più un
candidato moderato che un outsider antisistema», dice un altro analista
del Crs, Nicola Genga.
Questo sfondamento corrisponde a un
movimento decisivo, che colloca il M5S in una posizione centrale nello
spettro della distribuzione del voto. Questo è uno dei motivi che fa
ritenere che il vantaggio di Raggi sia davvero incolmabile: il M5S
conquista una posizione mediana, diventa il baricentro dell’elettorato.
Almeno
a Roma, il sogno renziano del Partito della Nazione, soggetto leggero,
trasversale a classi sociali e collocazione politica, si realizza col
M5S. Il suo successo per la prima volta combacia col boom delle
politiche del 2013 perché il voto assume un significato nazionale. Il
clima da plebiscito annunciato da Renzi in ottobre conosce una specie di
anticipazione, che spiegherebbe il modo in cui tutti gli anti-renziani,
di qualsiasi parte politica, si trovano a loro agio sotto l’ombrello
pentastellato.
Se si osservano le tabelle dell’«indice di
personalizzazione» (cioè del rapporto tra voto al sindaco e voti a
liste), scopriamo che Virginia Raggi non ha rappresentato un valore
aggiunto, meglio di lei da questo punto di vista hanno fatto Meloni e
persino Fassina. A Roma, dice Ipr, la Raggi si è presa il 28,4% dei voti
del Pd, il 15% di quelli di Forza Italia e pure il 12,3% degli elettori
di Giorgia Meloni. A confronto con le comunali precedenti, al M5S sono
andati un terzo dei voti che furono di Marino e il 20% di quelli che
finorono rispettivamente a Gianni Alemanno e a Alfio Marchini.
Se
questa polifonia contraddittoria eppure vincente dovesse tradursi in
soluzioni amministrative, la retorica del «buon senso» e delle soluzioni
«oneste» si scontrerebbe con la durezza dei fatti. Il difficile
percorso di costruzione della giunta e le (poche) caselle riempite
dicono qualcosa. La candidata pentastellata ha detto che le Olimpiadi
«non sono una priorità» e ha scelto una figura come Paolo Berdini,
oggettiva garanzia sulle scelte urbanistiche.
Dovrà mettere mano
alla delicatissima questione rifiuti ma la storia professionale
dell’assessore in pectore Paola Muraro non la descrivono esattamente
come nemica degli inceneritori o sostenitrice dell’«opzione zero».
Dal
direttorio grillino molti lasciano intendere che la partita di Roma si
vincerà solo continuando a proiettare le sue ombre sulla scena
nazionale. Ecco perché quel breve tratto di strada che separa il
Campidoglio da Palazzo Chigi, le difficoltà del governo Renzi, a vedere
dall’incerta base sociale della giunta Raggi, saranno forse ancora più
determinanti.