domenica 19 giugno 2016

Corriere La Lettura 19.6.16
Argentina Altobelli
La sindacalista dell’Ottocento pioniera dei braccianti

Il 2 luglio 1866, centocinquant’anni fa, nasceva a Imola Argentina Altobelli, una delle figure femminili più significative della storia italiana, che svolse un ruolo di assoluto rilievo nell’attività del movimento operaio: organizzatrice sindacale e dirigente socialista vicina a Filippo Turati e Anna Kuliscioff, fu tra i fondatori della Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Fnlt), fautrice di molte battaglie per l’emancipazione femminile, compresa quella per il divorzio. Attraverso lo svolgersi della sua vicenda politica e sindacale è possibile rileggere pagine fondamentali della storia italiana tra Otto e Novecento e coglierne alcuni tra gli aspetti più caratterizzanti: i processi di sindacalizzazione e di politicizzazione di massa, con l’emergenza operaia che in Italia assunse le caratteristiche soprattutto di una mobilitazione delle campagne bracciantili, l’affermarsi della questione femminile. E ancora il difficile adattamento dello Stato liberale ai nuovi bisogni, il primo sviluppo di una legislazione sociale e di un diritto del lavoro faticoso da imporre e far valere soprattutto nelle campagne.
Tali fenomeni trovarono in Argentina Altobelli un’interprete esemplare. Nata da una famiglia di idee liberali e patriottiche, da nubile si chiamava Bonetti, ma dopo il matrimonio usò il cognome del marito. Argentina giunse al socialismo attraverso il mazzinianesimo, individuando nella causa del riscatto dei lavoratori della terra, e specialmente delle donne dei campi — «le diseredate fra gli oppressi», le definiva — il movente della sua adesione al socialismo. Alla causa dei lavoratori della terra la Altobelli si dedicò fin da subito con slancio, attivandosi, sul finire dell’Ottocento, in un lavoro di propaganda e di creazione e consolidamento delle strutture territoriali di base del Partito socialista e del movimento sindacale che la colloca a pieno titolo tra i protagonisti della cosiddetta generazione «dei pionieri o apostoli del socialismo».
A Bologna si impegnò nella Società operaia femminile, fu tra i fondatori della Camera del Lavoro e della Fnlt, che in quella stessa città si costituì nel 1901 e della quale la Altobelli divenne segretaria nazionale nel 1905, anche in virtù dell’importante lavoro di direzione compiuto nella Federazione bolognese, formatasi nel 1902. La realtà della Fnlt non aveva eguali in Europa: solo in Italia un sindacato nazionale di lavoratori della terra acquisì sin dal suo sorgere consistenza e continuità organizzativa di indirizzo. Il fatto che alla guida di quel movimento tanto straordinario vi fosse una donna, quando la popolazione femminile era ancora tutta esclusa dal diritto di voto, era sintomo evidente di modernità.
La Altobelli entrò anche nel Consiglio direttivo nazionale della Confederazione generale del lavoro (Cgl), diretta da Rinaldo Rigola, costituita nel 1906, e quello stesso anno segnò anche la sua consacrazione come dirigente nazionale del Psi, quando venne designata tra i componenti della Direzione nazionale del partito, e in seguito confermata nell’incarico nel 1908 e nel 1910. All’intenso impegno pubblico la Altobelli seppe coniugare, in maniera inconsueta per quei tempi, una ricca vita privata, coltivando il legame profondo che la unì sempre ai figli Demos e Trieste e al marito Abdon Altobelli, letterato, allievo di Carducci, uomo di larghe vedute che fu lo sprone più attivo del suo impegno politico e che non di rado si assunse compiti di cura dei bambini per consentire alla moglie di recarsi spesso all’estero, in rappresentanza del Psi e della Fnlt. La Altobelli rimase segretaria della Fnlt fino al suo scioglimento in età fascista, tra il 1924 e il 1925. Fu sempre vicina alla componente riformista del partito e nell’ottobre del 1922, quando si verificò la rottura con i massimalisti, seguì Turati, Prampolini e gli altri riformisti, per aderire al Partito socialista unitario guidato da Giacomo Matteotti.
Nella sua vicenda emerge la spiccata modernità di una donna che era tra le pochissime impegnate in politica con funzioni dirigenziali, agiva quindi in un mondo all’epoca esclusivamente maschile, e lo faceva mostrando non solo di non tradire gravi imbarazzi, ma con la ferma determinazione di non mortificare alcun aspetto del suo essere femminile. Anzi costantemente rivendicava, nella sua attività, l’importanza del ruolo pubblico, ma anche del ruolo familiare e materno della donna, cui attribuiva un rilievo appunto politico e sociale, una funzione educativa essenziale che dalla famiglia si estendeva alla società e per la quale riteneva che le donne dovessero essere adeguatamente tutelate tramite una specifica legislazione sociale. Proprio questa convinzione fu il motivo dell’incessante propaganda che nel 1902 condusse a favore del progetto di legge Kuliscioff sul lavoro delle donne e dei fanciulli e successivamente, in coerenza con la sua vocazione riformista, anche dell’azione svolta nell’ambito del Consiglio superiore del lavoro (Csl), organo consultivo, composto di rappresentanze del mondo del lavoro, istituito nel 1902 dal governo Zanardelli-Giolitti, con l’obiettivo di agevolare le prime misure di legislazione sociale in Italia. La Altobelli fu tra le prime donne a varcare quella soglia istituzionale, entrando nel Csl nel 1912, in rappresentanza del lavoro agricolo. Secondo la linea indicata dalla Kuliscioff, e quindi oltre il femminismo «borghese» e radicale mazziniano, si dispiegò anche la sua attività a favore della donna lavoratrice, e sin dal 1906 rivendicò il diritto al suffragio anche per le donne, senza limiti di censo e di istruzione.
La sua non fu tuttavia solo una storia di emancipazione femminile. Fu anche e soprattutto una storia di militanza socialista tenace, incessante, costantemente riaffermata in un lavoro minuto volto a comporre le istanze di categoria molteplici e assai distanti del lavoro agricolo, diretto non solo ai lavoratori più consapevoli ma anche a quelli più marginali, privi di diritti e del lavoro stesso. È infatti sempre opportuno ricordare che la Fnlt fu un sindacato di occupati ma soprattutto di disoccupati, composto in prevalenza da braccianti, da avventizi sprovvisti di ogni sicurezza del lavoro e quindi dei mezzi di sussistenza. All’interno di questa categoria, ancora più precaria era la condizione delle donne, impiegate spesso nei lavori stagionali, ad esempio come mondariso, ma anche in lavori a domicilio, come sartine o filatrici.
La Altobelli, smentendo le ricorrenti accuse di settarismo corporativo rivolte al riformismo socialista, individuò soprattutto in queste categorie più umili le destinatarie di un’opera che, oltre il mero rivendicazionismo economico, si declinò in un’opera di alfabetizzazione civica e di educazione politica in senso democratico, prima ancora che classista. Come scrisse Nello Rosselli, «i riformisti furono travolti da una tragedia che ebbe dimensioni mondiali ma prima riuscirono a posare dei sassi sul letto del torrente che servirono a costruire un ponte sul quale il movimento è passato, anche se per molto tempo ignorando chi fosse stato a porne le fondamenta».