domenica 19 giugno 2016

Corriere La Lettura 19.6.16
Oggi Freud e Jung leggerebbero Dorn
di Antonio D'Orrico

C’è un bel parco attorno alla Waldklinik, la clinica psichiatrica che i lettori di Wulf Dorn conoscono bene. E i dottori sono simpatici e non hanno l’aspetto tipico di molti dottori di quel genere: «Figure anziane, con il camice bianco, gli occhiali spessi e folte chiome alla Einstein». Alla Waldklinik è stato ricoverato Simon, un ragazzo che ha perso entrambi i genitori in un incidente stradale. Fortunatamente, Simon non è rimasto solo al mondo. C’è Mike, il fratello maggiore che fa il meccanico ed è stato l’idolo di Simon e il suo protettore dai ragazzi più bulli, e c’è la zia Tilia, la sorella di suo padre. Ora Simon è affidato a loro. Ma c’è qualcosa che non torna. Sia la zia sia il fratello sembrano aver fretta di liberarsi di Simon chiudendolo in collegio. E lui è disperato perché ha ancora bisogno di aiuto ed è tormentato da visioni in cui rivive l’incidente in cui sono morti i genitori. A complicare le cose c’è anche una vicenda sinistra, la sparizione di una ragazza di 16 anni che fa temere l’esistenza di un maniaco. L’unica buona notizia nella nuova vita di Simon si chiama Caro, una ragazza che, come lui, fa parte del club degli scaricati, di quelli che nessuno vuole. Fatalmente, i due diventano inseparabili e fanno le cose che fanno ragazzi e ragazze nei romanzi (da Tom Sawyer a Stephen King): visitare luoghi sinistri e pericolosi come il vecchio albergo abbandonato dove un giorno scoprono che... I romanzi di Wulf Dorn avrebbero incuriosito Freud e Jung e l’autore confessa che mentre li scrive trema come una foglia. Sono storie, affollate di traumi e brutti sogni, vagamente allucinate, che discendono a modo loro dai casi clinici (il genere letterario fondato da Freud), Dorn è un autore che mantiene quello che promette. Non ha necessità di ricorrere a effetti splatter o a versamenti copiosi di sangue e altri umori. All’esplosione preferisce l’implosione. I mostri non sono sempre gli altri, i mostri, a volte, siamo noi.