il manifesto 14.6.16
Votare 5Stelle non è difficile, Olimpiadi e urbanistica a Roma facilitano la scelta
Ballottaggio.
Renzi ha premiato la rendita e Giachetti vuole la Grande opera (le
Olimpiadi). Raggi ha un programma all’opposto e ha chiesto la
collaborazione dell’urbanista Berdini. Per questo non è difficile
scegliere
di Piero Bevilacqua
Sul voto al
prossimo ballottaggio delle elezioni per il sindaco di Roma è bene
raccogliere una pluralità di pareri davanti a uno scenario che appare
abbastanza problematico e ingarbugliato. Per lo meno per chi si colloca a
sinistra del Partito democratico.
Oggi, tuttavia, rispetto a poco
tempo fa, il quadro della situazione politica romana mi appare molto
più chiaro e definito e le possibilità di fare una scelta di voto assai
meno problematica.
Avendo votato per Stefano Fassina al primo
turno, sapevo per certo che avrei dovuto affrontare al ballottaggio una
scelta che lo escludeva. E confesso che, se mi fossi trovato di fronte a
un alternativa tra Roberto Giachetti e un candidato del centro-destra,
non avrei avuto dubbi: mi sarei “turato il naso”, per dirla alla
Montanelli, e avrei scelto il candidato Pd. Lo avrei scelto per senso di
responsabilità, pensando alle sorti della mia città, che non può
tornare in mano al peggior centro destra d’Italia.
Ma lo avrei fatto con disagio, prima di tutto per ragioni di politica nazionale.
Considero
il Pd di Matteo Renzi un grave danno per la sinistra e per l’Italia.
Per la sinistra, perché la sua politica di apertura alla destra
berlusconiana – come alcuni di noi avevano previsto – non avrebbe
allargato il consenso di quel partito , mentre avrebbe definitivamente
spezzato i legami con il suo insediamento popolare, esponendolo alla
sconfitta.
I risultati elettorali recenti sono le prime prove della validità di tali previsioni. Ma il danno è anche per l’Italia.
Questa
non è la sede per valutazioni generali, ma un aspetto che non bisogna
dimenticare, nel dare un giudizio sull’operato di questo governo, è di
considerare anche quel che non si è fatto e invece si poteva fare. Il
tempo nel frattempo sprecato con i problemi che si aggravano.
Son
passati due anni e mezzo e Renzi ha perduto l’occasione di impostare un
sistema fiscale progressivo: vera chiave di volta per attenuare le
diseguaglianze crescenti che lacerano tutte le società “neoliberiste”.
Ha
premiato la rendita, abolendo la tassa sulla prima casa e non ha
impostato una vera politica di investimento nella formazione e nella
ricerca, per il rafforzamento strategico del sistema-paese: borse di
studio per migliaia di giovani che non possono proseguire la carriera
scolastica o iscriversi all ‘Università, fondi per la ricerca, ingresso
di nuovi docenti nell’Università e soprattutto risorse per ridare
slancio a un settore da cui dipende l’avvenire dell’Italia. Nulla di
tutto questo, com’è noto.
Ma che c’entra tale valutazione con la
scelta del sindaco di Roma? Per fortuna, senza dover dimenticare i danni
generali della politica nazionale del Pd, al ballottaggio non sarò
costretto a turarmi il naso.
Ho sentito più volte Giachetti in Tv
perorare la causa delle Olimpiadi a Roma e del nuovo stadio della
squadra capitolina e questo mi ha definitivamente persuaso.
Considero
simili scelte il distilllato del neoliberismo urbanistico che già
affligge le nostre città (Venezia fa testo da anni) e che rischia di
distruggerle. E’ il processo di disneyzzazione dei nostri centri urbani,
un modo di mobilitare risorse per singoli eventi, tutto interno alla
logica della società dello spettacolo, del profitto per alcuni gruppi,
mentre si rimuove la visione d’insieme della città: con i suoi bisogni
quotidiani, le sue periferie, il suo crescente disagio sociale, le
sacche di emarginazione che si vanno gonfiando.
Ispirato da tali
scelte, – che lo portano anche a strumentalizzazioni pacchiane, come
l’uso elettorale di Totti – Giachetti è dunque un perfetto avversario da
sconfiggere.
Tanto più che la candidata del Movimento 5 stelle,
Virginia Raggi, ha cominciato a fare scelte interessanti per la sua
eventuale squadra di governo cittadino.
Ed è di dominio pubblico
che ella ha chiesto, per l’assessorato all’urbanistica, la disponibilità
di Paolo Berdini. Ebbene, considero questa una scelta di grande valore,
una vera bandiera politica.
L’Assessorato all’ urbanistica (o
comunque si chiamerà) è un posto di potere-chiave dei governi
municipali. Da li si governa l’uso del territorio e la possibilità di
cavare profitti dal suolo. E da li, nei decenni passati, sono passate le
scelte che hanno devastato Roma, cementificando l’Agro romano,
costruendo interi quartieri senza trasporto su ferro, innalzando cinture
di centri commerciali che richiamano traffico da ogni dove.
Paolo
Berdini è uno dei più competenti e intransigenti avversari di questa
politica dissennata, che ha premiato la rendita dei grandi costruttori e
creato danni all’universalità dei cittadini romani.
Infine,
qualche considerazione sugli insuccessi elettorali più significativi
della sinistra a Roma e a Torino, che mi paiono comuni per tanti
aspetti.
Avevo considerato, a suo tempo, imprudente la candidatura
di Fassina, ma – una volta nell’agone elettorale – ho espresso su
questo giornale il mio sostegno al suo lavoro per tanti versi
coraggioso. Naturalmente, senza illusioni, con l’auspicio che si
costruisca a Roma, per il futuro, un centro aggregatore delle forze di
sinistra, quale terminale di una formazione politica più larga, di
respiro nazionale.
C’era, tuttavia, nella candidatura di Airaudo a
Torino e di Fassina a Roma, un peccato d’origine che evidentemente il
lavoro sul campo, quello tra la classe operaia torinese e nella
periferia romana, non è bastato a sanare. E le ragioni sono ovvie. Il
lavoro quotidiano tra i cittadini non può dare frutti elettorali nel
giro di pochi mesi.
Si tratta di un’opera di lunga lena, che
sarebbe dovuta iniziare molto prima dell’apertura della campagna
elettorale. Lo si voglia o no, la fiera elettorale copre di una patina
di strumentalità qualunque impegno e dialogo “col popolo”.
E
infine, di passata, ma è forse il problema fondamentale, tanto Airaudo
che Fassina e altri candidati meno noti, sono apparsi troppo isolati:
avanguardie solitarie di una sinistra che non c’è, per giunta esponenti
dissenzienti di una tradizione che oggi si chiude nel fallimento.
L’idea
di Sinistra Italiana di aspettare il congresso di dicembre per
“partire” non ha certo aiutato questi candidati. Ma ha anche gettato un
ombra pesante di fragilità su tutto il campo.
Persino il mio «giovanile entusiasmo» (come benevolmente ironizza Asor Rosa) è stato messo a dura prova.