il manifesto 12.6.16
Lo sporco modello turco prototipo delle politiche europee
Frontiere
e diritti. Il governo italiano va fiero della sua proposta, in realtà
la Ue replicherà così l’accordo con Erdogan, rafforzando i regimi da cui
i migranti fuggono
di Filippo Miraglia
La
Commissione europea ha presentato nei giorni scorsi al Parlamento
europeo la sua proposta sulla gestione delle relazioni con i paesi terzi
in materia di gestione dei flussi migratori. Com’è già accaduto più
volte in questi ultimi mesi, leggiamo fiumi di parole che denotano
interesse per le vite umane e per le vittime dei naufragi, dichiarazioni
di impegni condivisi dai governi e dalle istituzioni dell’Ue
sull’accoglienza. Le proposte concrete però vanno esattamente nella
direzione opposta.
Il modello proposto trae ispirazione dal
vergognoso accordo con la Turchia e dal Migration Compact del nostro
presidente del Consiglio. Si punta cioè, come più volte ci hanno
spiegato, a scambiare aiuti economici e sostegno politico ai governi dei
paesi d’origine e di transito (qualunque sia il tipo di regime), con
politiche di blocco dei flussi. Si tratta cioè, come già abbiamo
denunciato, dell’esternalizzazione delle frontiere e dei controlli dei
flussi migratori verso l’Unione europea.
Il cinismo caratterizza
l’analisi e soprattutto le proposte: salvare vite umane e gestire i
flussi in maniera ordinata, si ripete più volte. In che modo? Regalando
miliardi, come già fatto con Erdogan, ai tanti come lui in giro per
l’Africa. Chiedendo loro, in cambio, di fermare le persone che scappano
proprio dalla violenza dei regimi con i quali intendiamo fare accordi.
È
il caso dell’Eritrea di Isaias Afewerki (presidente dal 1993), del
Gambia di Yahya Jammeh (presidente dal 1994), dell’Egitto di Abd
al-Fattah al-Sisi (quel campione dei diritti umani che tutti conoscono).
La lista dei paesi è lunga: Algeria, Egitto, Eritrea, Etiopia, Costa
d’Avorio, Gambia, Libia, Ghana, Guinea, Mali, Marocco, Senegal, Niger,
Nigeria, Senegal, Sudan.
Insomma, il progetto è ambizioso e il
quadro è molto chiaro. Utilizzare fondi per lo sviluppo come arma di
ricatto verso i paesi di origine e di transito: chi più si riprende le
persone espulse e meglio coopera al controllo dei flussi migratori, più
risorse riceverà.
Invece i paesi che non si impegneranno a fare i
gendarmi dell’Europa saranno penalizzati, con una sorta di sistema a
punti. Quella che una volta si chiamava cooperazione allo sviluppo,
solidarietà tra i popoli, si trasforma in sostegno ai governi e al loro
potere, condizionato dal rispetto delle indicazioni che i governi
dell’Unione europea e la Commissione daranno in materia di gestione dei
flussi e delle frontiere. Fermare il maggior numero di persone che
scappano. Se riescono a passare i loro confini, bloccarli nei paesi di
transito. Se non muoiono dopo le torture e le violenze dei trafficanti
(in Libia e non solo), rimandarli indietro, con il consenso di questi
governi. Non c’è che dire, un vero capolavoro da grandi statisti!
Pericolosissimo
anche il dialogo che si vuole aprire con una Libia dilaniata dai
conflitti, con cui l’Europa conta di fare accordi per il controllo delle
partenze usando l’agenzia Frontex. Una proposta coerente con
l’atteggiamento che Bruxelles sta tenendo con la Turchia di Erdogan,
considerato un esperimento di successo. Con i 6 miliardi erogati in base
a quell’accordo, sono stati fermati i siriani che scappano dalle bombe,
costringendoli nelle galere turche o rispedendoli in Siria. L’Europa
non sta chiedendo al governo turco, a quello eritreo o a quello del
Gambia di rispettare i diritti umani e di consentire elezioni
democratiche per avere il sostegno dell’Ue.
Al contrario, si
sacrificano i diritti umani e qualche secolo di civiltà europea in
cambio di una proposta con la quale i governi dell’Unione europea, e la
Commissione, pensano, forse, di fermare la frana populista, razzista e
fascista che sta travolgendo i paesi del continente. L’esperienza
austriaca sta lì a dimostrare che si ottiene esattamente il risultato
opposto. Ma per i nostri esimi statisti questo non conta.
Pensano
evidentemente di essere più furbi e abili del capo del governo
austriaco, che ha dovuto dimettersi per il flop del suo partito alle
recenti presidenziali. Tutto ciò sulla pelle di quei bambini, quelle
famiglie, quelle persone che, in assenza di canali umanitari, programmi
di ricerca e salvataggio, possibilità di vie di ingresso sicure e
legali, dovranno pagare sempre di più e rischiare sempre di più. E
aumenteranno inesorabilmente, visto che verranno foraggiati e rafforzati
proprio quei governi da cui fuggono.