il manifesto 10.6.16
Celeste Logiacco, Flai-Cgil della Piana di Gioia Tauro
Più ispezioni e denunce ma i caporali come boss
Sotto il sole 12 ore per 25 euro, oppure il cottimo: da 1 euro a 50 centesimi a cassetta di agrumi
intervista di Antonio Sciotto
«Noi
chiediamo continuamente alle autorità di occuparsi di San Ferdinando,
vivere tra le baracche è un inferno, ma su questo pezzo di Calabria i
riflettori si accendono solo quando c’è un morto», nota amara Celeste
Logiacco, giovane sindacalista di frontiera. Segretaria Flai Cgil della
Piana di Gioia Tauro, si impegna ogni giorno contro il caporalato e per
la regolarizzazione di chi lavora nei campi.
Quante persone vivono nella tendopoli di San Ferdinando?
Tra
le 400 e le 500: in passato, quando si concludeva la stagione degli
agrumi e delle olive, e cioè verso fine marzo, le strutture si
svuotavano. Ma dall’anno scorso gli abitanti hanno scelto di fermarsi
anche in estate: cercano di prendere comunque delle giornate, per
ripulire i campi o per occuparsi delle potature. Alcuni poi hanno messo
su dei piccoli commerci: vendono l’acqua per lavarsi, aggiustano le
biciclette, tagliano e cucinano la carne. Chi vive qui viene da Mali,
Ghana, Senegal, Burkina Faso, sono quasi tutti uomini. Le donne sono
meno di trenta, e poi ci sono due bambini: Manuel e Gabriella, hanno
circa due anni: sono nati qui ma sono di cittadinanza ghanese.
Mancano
l’acqua corrente, adeguati servizi igienici e le fognature. Non è
migliorato nulla rispetto al passato? Eppure è da qualche anno che la
stampa denuncia le insostenibili condizioni di San Ferdinando.
L’anno
scorso c’era l’idea di sostituire le tende: sono 72 padiglioni in
tutto, forniti anni fa dalla protezione civile, ma poi non se n’è fatto
niente. Le autorità avevano buttato giù le baracche che via via si erano
aggiunte ai margini del campo, ma subito dopo i braccianti le hanno
rimesse su, tanto che oggi si contano quattro file di abitazioni
improvvisate, costruite con materiali di scarto. Un mese fa la tendopoli
si è allagata dopo una forte pioggia. Purtroppo dal punto di vista
abitativo le condizioni peggiorano, qui come in altri insediamenti: ad
esempio in una grossa fabbrica dismessa, noi la chiamiamo «lo
scatolone», oggi vivono circa 30 persone, ma in alta stagione arrivano
fino a 300. Lì le condizioni sono ancora più precarie: non c’è luce,
acqua, servizi igienici, si vive come dentro una grotta.
Le
condizioni lavorative sono migliorate? Ci sono più ispezioni nei campi?
L’attività legislativa, almeno a vederla da Roma, in qualche modo c’è
stata.
Da questo punto di vista le cose sono migliorate: da un
lato, sì, sono decisamente aumentate le ispezioni, ci sono aziende
indagate, denunce e sequestri. Un buon numero di braccianti, quelli che
siamo riusciti a intercettare con il sindacato di strada, adesso ha il
contratto: ora dobbiamo monitorare che vengano retribuite effettivamente
tutte le giornate lavorate, e che vengano pagati i contributi. Ma il
caporalato resta forte, aggressivo, e le paghe per chi è impiegato in
nero rimangono al limite della schiavitù: 25 euro al giorno, per 12 o
più ore di fatica sotto il sole. O peggio, il cottimo: 1 euro per ogni
cassetta di mandarini e 50 centesimi per una di arance.