il manifesto 10.6.16
Le firme del premier, chi le ha viste?
Referendum di ottobre. Renzi ha detto di aver raccolto già 200 mila firme per il sì. Ma nessuno ha visto banchetti in giro
di Massimo Villone
Come
era facile prevedere, è grande la rissa su chi ha vinto e chi ha perso
nel voto di domenica. Sarà decisivo il ballottaggio in alcune situazioni
chiave, come Milano e Roma.
Ma c’è un punto che emerge in tutta evidenza: l’architettura tripolare del sistema politico si è consolidata.
Lo
dicono i risultati M5S nelle maggiori realtà in cui si è votato. E lo
dice ancor meglio l’analisi dei flussi elettorali, che vede orientato
verso M5S il voto dei giovani e delle classi d’età fino ai 45/55 anni:
quelle che sono ad un tempo la spina dorsale del sistema paese e tengono
le chiavi del futuro.
Del resto, il tramonto del
bipolarismo/bipartitismo va ben oltre l’Italia. L’abbiamo visto in tempi
recenti in esperienze consolidate come quella britannica e tedesca. Lo
vediamo negli scenari davvero inediti delle primarie Usa, in cui in
ciascuno dei due partiti storici si danno battaglia candidati portatori
di progetti politici che potremmo a buona ragione definire alternativi.
Quindi
abbiamo in Italia un tripolarismo destinato a durare. Ed allora si
sottolinea il contrasto stridente con le riforme renziane, che puntano a
un bipolarismo – ed anzi bipartitismo – forzoso. E che bipartitismo sia
lo prova il premio di maggioranza alla singola lista vincente, con
proibizione di coalizioni e apparentamenti. Ostacolo superabile con un
listone, ma rivelatore di una filosofia di fondo inequivocabile. Fin qui
Renzi l’ha confermata in pieno, dichiarandosi ripetutamente
indisponibile a qualsiasi modifica.
Chi sostiene l’Italicum
afferma che il modello è necessitato perché le forze in campo sono
antagoniste e quindi incapaci di costruire coalizioni coese ed
efficienti.
Ma intanto notiamo che due soggetti secondo tale
teoria antagonisti l’avevano pur fatta una coalizione con il patto del
Nazareno, poi sciolto non già per antagonismo genetico, ma per motivi
futili e abietti.
Inoltre, altrove – Gran Bretagna, Germania – le
coalizioni rese necessarie dai risultati elettorali si fanno, magari
aprendo una riflessione sui nuovi equilibri e le nuove prassi che si
rendono necessarie.
Secondo la via italiana alla governabilità,
invece, si attribuisce tutto il potere a uno dei soggetti in campo,
mentre si mettono gli altri in condizioni di non nuocere. Al primo si
consegna un corposo incremento dei seggi, ai secondi in misura
corrispondente si sottraggono.
Né mancano misure collaterali –
come il voto a data certa nel ddl Renzi-Boschi – per tenere sotto
stretto controllo le residue velleità di disturbare il manovratore. In
sintesi, a una delle minoranze si dà il dominio sulle altre,
antagoniste, che sommate esprimono una maggioranza nel paese, anch’essa
evidentemente antagonista. I numeri parlamentari taroccati dovrebbero
garantire stabilità e governabilità. Davvero geniale.
Il
Renzi-pensiero proietta sul paese governi a vocazione geneticamente
minoritaria e architetture istituzionali in diretto contrasto con
l’assetto del sistema politico. Una prospettiva da affrontare con
partiti ormai evanescenti, la cui debolezza il premier ha sperimentato
in prima persona in questo ultimo turno elettorale. Un segnale che certo
lo preoccupa non poco, se proiettato sulla data del referendum di
ottobre.
Per questo vuole impugnare il lanciafiamme, ed è
ragionevole pensare che il primo obiettivo sia la già esanime minoranza
interna, e forse qualche specifico capro espiatorio, come Bassolino a
Napoli. Ma non guasterebbe qualche segno di consapevolezza, e magari di
autocritica.
Per la sua scalata al potere e per imporre le sue
scelte politiche ha sfruttato la debolezza che oggi lamenta, che non ha
mai cercato di correggere, ed anzi ha solo contribuito ad aumentare. È
assai dubbio che il premier possa oggi recuperare la emorragia di
militanti e la perdita di radicamento territoriale, e certo non può
farlo nei tempi brevi che gli sarebbero necessari.
Ha anche fatto
la mossa di mollare Verdini, negando qualsiasi ipotesi di coalizione, e
riducendo il partito della nazione a una realtà che esiste solo
nell’aula parlamentare.
Nel linguaggio di Verdini & Co.,
questo si traduce più o meno così: a noi i vostri voti in aula, a voi
niente posti nelle nostre liste. Se fosse vera la faccia feroce a
Verdini, per Renzi la situazione diventerebbe pesante. Il dubbio viene
che sia in tutto o in parte una rappresentazione teatrale, volta a
tamponare il danno ricevuto in alcune realtà, come quella napoletana.
Ma
qualunque cosa intenda Renzi, ci sono danni non riparabili o
risarcibili, dati soprattutto dal voto dei verdiniani per la riforma
costituzionale e alcune leggi chiave. Aver concesso a Verdini la
qualifica di padre costituente è un peccato che non consente
assoluzione.
Ma comprendiamo l’ansia crescente del premier, che
soffre di una chiara sindrome di accerchiamento. Pensavamo fosse questa
la ragione di lanciare una sua raccolta di firme popolari per referendum
di ottobre.
A quanto risulta, ha bellicosamente dichiarato di
averne raccolte già 200.000, e che tutte sarebbero state consegnate in
Cassazione nei primi giorni di luglio.
Ma nessuno ha incrociato
per le strade e le piazze d’Italia un solo tavolino con le insegne del
premier. Le firme di Renzi: chi le ha viste?