La Stampa 10.6.16
Incomprensioni e amarezze in patria
Il “rottamatore” trova conforto all’estero
Vola da Putin, poi pensa al G7. Parabola identica ai leader del passato
di Mattia Feltri
In
questi giorni molti di noi devono sentirsi come Phil Connors. Cioè,
come Bill Murray che in Ricomincio da capo (1993) veniva svegliato alle
sei di mattina da I Got You Babe di Sonny & Cher, ogni mattina
la stessa canzone, e poi sentiva la stessa folata di vento seguita dallo
stesso abbaiare di cane, appena prima che passasse lo stesso furgone e
la stessa ragazza e così fino a sera; una ripetizione eterna della
medesima giornata, al millimetro e al secondo. L’impressione si è fatta
forte alla notizia che giovedì 16 giugno Matteo Renzi sarà in qualche
piazza per la festa di abolizione dell’Imu - un remake dei vecchi No Tax
Day - e si perderà il fine settimana dei ballottaggi perché impegnato
in un vertice internazionale. E dove? A San Pietroburgo. Ospite di chi?
Di Vladimir Putin. Ecco, c’è qualcosa che non torna; o forse torna
tutto.
Il giochino è fin troppo scoperto e non è il caso di farlo
tanto a lungo. Chi è quel leader che perdeva quasi sempre le
amministrative? E che a ogni tornata di sindaci e di governatori si
chiedeva fino alla spossatezza se fosse il caso di metterci la faccia
oppure no? E che a inizio di campagna elettorale tutti i candidati
volevano al fianco, e alla fine si accorgevano che portava poco o nulla o
addirittura danno, da quanto gli elettori erano esausti di ritrovarselo
davanti? Silvio Berlusconi, naturalmente. Poi ieri il vicepresidente a
cinque stelle della Camera, Luigi Di Maio, ha provato a complicare la
faccenda prevedendo la fuga del premier davanti a un lancio di monetine,
parallelo con Bettino Craxi, un altro col pallino dell’abolizione del
bicameralismo perfetto. Come tutti sanno, c’è poi riuscito Berlusconi
nel 2006, ma siccome le migliori intelligenze del Paese dichiararono che
le riforme avrebbero condotto alla dittatura, un referendum le
cancellò. Sono trascorsi dieci anni e dalle migliori intelligenze, di
nuovo preoccupate dal neofascismo, traggono ispirazione anche in Forza
Italia, giusto per arrotondare il déjà vu.
In attesa di vedere
come andrà a finire nelle urne, i retroscena raccontano il presidente
del Consiglio sconsolato perché controllare il partito gli riesce
impossibile, esattamente come riusciva impossibile a Berlusconi; Renzi
oggi e Berlusconi ieri, chissà se svegliati all’alba da I Got You Babe
di Sonny & Cher (entrambi dormono poco), si tengono partito e
governo e quando si imbattono in piccole contestazioni o sparuti fischi
trasecolano, scalfiti nella loro grandeur. E arriva il momento in cui
salta su un cacicco, l’ultimo è stato l’ottimo Massimo Zedda rieletto
sindaco a Cagliari, che fra l’ingenuo e il sarcastico ringraziano il
Supremo «per non essere venuto». Berlusconi riparava nella dacia di
Putin, e andavano a caccia di orsi, o nel ranch di George W. Bush, dove
trovava pacche sulle spalle e buone parole, altro che il disprezzo
nemmeno degli avversari, ma degli alleati. A San Pietroburgo, Renzi sarà
contento di dettagliare sul migration compact e sulle riforme che gli
hanno garantito apprezzamento e conseguente flessibilità nei conti, a
immaginare il prossimo G7 a Taormina - se il copione è ben scritto
avremo piantine di limone sul lungomare, quelle di Napoli 1994. La
spiegazione del calo dei consensi, dicono da un po’ di tempo nel giro
del premier, è tutta nell’incapacità di comunicare le leggi fatte, i
soldi distribuiti, i cantieri riavviati e chiusi, e nell’ostilità dei
giornali, nelle meschinerie delle minoranze di governo che succhiano il
sangue, nelle opposizioni disinteressate al bene del Paese e attratte
soltanto dalla successione.
Ricomincio da capo è il titolo
italiano, quello originale è Groundhog Day, il giorno della marmotta, il
giorno speciale in cui la marmotta esce dal letargo. Qui è ancora
presto.