il manifesto 10.6.16
Maboroshi
Il cannibale e la società nella nebbia
Paradossi:
il caso del serial killer giapponese che uccise e divorò una ragazza
belga. Rimpatriato in patria, diventa una star: vende libri, va in tv e
tiene una rubrica di cucina
di Matteo Boscarol
Un
ragazzo è fortemente attratto da una ragazza, sua compagna di scuola,
un’attrazione perversa però che indirizza i suoi istinti sessuali verso
la carne della donna e non verso la sua persona. Un giorno decide così
di invitarla a casa sua, con un fucile che aveva precedentemente
comprato le spara, la uccide e dopo aver sfogato i suoi desideri
sessuali, comincia a cibarsi di alcune parti del suo corpo per due
giorni, sia crude che dopo averle cucinate. Purtroppo non si tratta
della trama di un film horror, ma di un fatto realmente accaduto 35 anni
fa, esattamente l’undici giugno del 1981 quando Issei Sagawa, studente
giapponese iscritto alla Sorbona di Parigi, uccide e dismembra la
giovane ragazza olandese Renèe Hartevelt, sua compagna di studi. Sagawa
viene arrestato il 13 giugno quando viene visto trasportare delle
valigie contenenti alcune parti della donna che voleva gettare in un
lago parigino.
Dichiarato insano di mente nel 1984 viene
rimpatriato in Giappone, le accuse francesi lasciate cadere, dopo due
anni passati in ospedale diventa un uomo libero in quanto dichiarato da
psicologi giapponesi sano di mente essendo la perversione sessuale la
causa che lo spinge all’omicidio. Questa per sommi capi, chi è
interessato ad approfondire il lato legale della faccenda può facilmente
esplorarla con una ricerca su internet, la versione sulle atrocità
commesse dall’uomo e del suo rimpatrio.
Al di là dell’enorme
gravità e tristezza per l’efferatezza del crimine e per il sorprendente e
repentino rilascio di Sagawa però, quello che continua ancora a
disturbare sono i fatti accaduti dopo e come essi hanno impattato il
Giappone a livello massmediatico.
In verità già prima del ritorno
in patria e durante la sua permanenza nell’ospedale francese, Sagawa
riceve la visita di Inuhiko Yomota, scrittore e critico culturale di
grande spessore, che però contribuisce a lanciare l’immagine del
«cannibale» nel suo paese. Ore e ore di conversazioni con Yomota
diventano un libro intitolato «Dentro la nebbia», un resoconto del
crimine e delle motivazioni che lo hanno spinto all’omicidio, un volume
ricco di particolari alquanto dettagliati e che diventa subito un
bestseller. La nebbia che ha invaso la mente di
Sagawa ottundendo
tutto quanto gli stava attorno e «guidandolo» per i suoi scopi sembra
ora aver invaso il mediascape dell’arcipelago, Sagawa diventa una sorta
di celebrità ancor prima di essere rimpatriato, al suo ritorno e
rilascio dall’ospedale giapponese nel 1986 infatti succede l’indicibile.
Fotografi si recano nella sua abitazione per realizzare servizi
dell’uomo che posa assieme ai quadri che al tempo realizzava, per lo più
soggetti raffiguranti nudità femminili, una rivista lo intervista e lo
fotografa mentre sta mangiando un piatto a base di carne e la pubblica
poi nella pagina dedicata alla gastronomia. Ma il delirio continua con
le partecipazioni di Sagawa a programmi televisivi, varietà in cui
spesso posa nell’atto di mangiare, la pubblicazione di un manga che
ripercorre la tragedia parigina e nel 1992 una piccola parte con cui
partecipa al pink eiga di Sato Hisayasu, «Unfaithful Wife, Shameful
Torture».
Ora a 35 anni di distanza dall’atrocità commessa, Sagawa
ha 67 anni e versa in non buonissime condizioni di salute, ma il suo
personaggio è ancora in grado di attirare i media nel buco nero che è la
sua esistenza. Non sono notizie confermate ma sembra che Sagawa
parteciperà ad un nuovo lavoro diretto ancora da Sato e che questa sua
partecipazione sia stata notata dal Sensory Ethnography Lab di Harvard
(Leviathan, Manakamana) che sarebbe interessato in qualche modo a questo
connubio cannibalismo/spettacolarizzazione.
I 35 anni passati
potevano essere una buona occasione per far calare il silenzio mediatico
definitivo sull’accaduto, un segno di rispetto verso la vittima che
anche questo articolo non è riuscito a mantenere, mea culpa.
matteo.boscarol@gmail.com