Corriere La Lettura 12.6.16
Tutti a Firenze , Eldorado medievale
Transizioni
Prima della peste trecentesca la città toscana era la terza metropoli
d’Europa per abitanti: le sue prospere attività economiche richiamavano
persone di ogni genere. Poi venne lo «splendido congelamento»
rinascimentale, anticamera di un lungo declino
di Amedeo Feniello
Firenze,
si sa, nel Medioevo, non fu una città come le altre, ma fu «la» città.
Per eccellenza. E i suoi cittadini il «Quinto elemento del mondo», come
tenne a ribadire uno che di mondo — e di uomini — se ne intendeva, il
Papa Bonifacio VIII, all’epoca del primo giubileo della Cristianità.
Oggi, potrebbe apparire stonato riparlare di questo universo, magnifico
ed evanescente nello stesso tempo. Si direbbe: ne è passata d’acqua
sotto i ponti della storiografia, con migliaia e migliaia di pagine
sull’argomento. Invece no: nel volume dal titolo ammaliante Come albero
fiorito (Mandragora), quattro giovani nonché brillanti autori — Silvia
Diacciati, Enrico Faini, Lorenzo Tanzini e Sergio Tognetti — hanno
tracciato un ritratto per molti versi inedito di Firenze nella sua epoca
più splendente.
Sia per la capacità che hanno avuto di
riformulare gli argomenti sia per la stessa architettura del libro,
costruito come un caleidoscopio, dove si aprono di continuo nuove e
accattivanti finestre sulla vita fiorentina e i suoi diversi aspetti.
«Come una galleria di scene e di punti di vista che permettono di
entrare in quel mondo creativo e fecondo nella stagione della sua
primavera». Capitoli brevi che «lasciano spazio a chi legge: il resto
della storia è fuori dalla finestra, nelle vie e nelle piazze di
Firenze, che ogni lettore, magari con il libro in mano, avrà la fortuna
di visitare».
La storia di Firenze. Di una società in continua
metamorfosi (gli autori dicono, giustamente: in ebollizione…), che non
ha mai smesso e non smette mai di parlare, anche agli uomini di oggi.
Una società fatta di picchi, che sembra non avere, in nessuno dei suoi
momenti, sfumature di grigio. Troppo spesso contraddittoria. Fatta di
lotte feroci, di parte. Di faide, odi e vendette. Di blasfemie e di
spregiudicatezze. Oppure luminosa. Della luminosità dei grandi che vi
appartennero: da Brunetto Latini a Lorenzo il Magnifico. Una storia
intrisa profondamente di creatività: Firenze rappresenta infatti un
enorme laboratorio di sperimentazioni. Politiche, finanziarie,
industriali, economiche, artistiche. Che gli autori ricostruiscono
proprio attraverso il ricorso a uno stile narrativo che è sempre ricco,
chiaro, lineare, perfettamente adattabile ai lettori odierni.
Firenze,
dicono gli autori, «è come un albero fiorito». Non sono parole scelte a
caso. È un verso del Gianni Schicchi di Puccini. Ed è da qui che si
parte: da come è sbocciato questo fiore. Germogliato. Fino a diventare
un’enorme quercia, dall’alto della quale si poteva dominare l’Europa.
Perché Firenze fu grande, pure riguardo ai numeri. Se difatti la
paragoniamo alla città di oggi — una città di dimensioni medie, o
medio-piccole — il confronto non regge. Ma allora era tutto diverso.
Sette secoli fa, prima della grande peste del Trecento, quando in Italia
vivevano circa 12 milioni di persone e nell’intera Europa un’ottantina,
Firenze era una metropoli, con più di centomila abitanti, circondata da
un vasto contado altrettanto popoloso. In Europa la sopravanzavano solo
Parigi e Milano. Dietro tutte le altre.
Una città che cresce in
maniera davvero vorticosa. Sbalorditiva: basti pensare che, tra Due e
Trecento, in poco più di cent’anni, la popolazione crebbe in misura
compresa tra il 400 e il 700%, passando da 15-20 mila abitanti a 100-120
mila. Firenze cresce così tanto perché qui ci vogliono venire tutti.
Con un’onda migratoria che trascina gente di tutti gli strati sociali:
signori e signorotti del contado, piccoli proprietari terrieri, notai,
commercianti, artigiani provenienti dai centri vicini e dai borghi
rurali, contadini nullatenenti. Al punto che fu necessario ampliare la
città. Allargarla. Creare una nuova cerchia di mura.
Il motivo di
quest’ondata? Che la città è un nuovo Eldorado. Una terra di
opportunità, dove l’attrazione maggiore viene esercitata da un’economia
in fortissima espansione, «nella quale le attività commerciali, bancarie
e finanziarie, spesso condotte su scenari internazionali, si sposavano
con quelle legate ai settori artigianali e, in particolare, alle
manifatture tessili». Con una grande bellezza, che fece grandi i
fiorentini del Duecento: capaci di intuire che la forza nuova che
penetrava in città non rappresentava un pericolo, ma un’opportunità. E,
per questo, fu attratta in vario modo: con salari migliori e attività di
lavoro variate, certo. Ma soprattutto coltivando il sogno che l’ascesa
sociale era, per tutti, a portata di mano. In una prospettiva urbana
dove solo pochi (tra cui, a onor del vero, un tradizionalista come
Dante) erano disposti a pensare che a un «villano incittadinato» fosse
preclusa la possibilità di scalare i vertici della società.
Dopo,
Firenze mutò. La crisi trecentesca la colpì profondamente, tanto che i
livelli demografici duecenteschi non furono più raggiunti se non dopo
l’Unità d’Italia. All’esuberanza demografica e sociale si sostituì, in
definitiva, un congelamento: lo «splendido congelamento» della
magnifica, ordinata e straordinariamente bella Firenze rinascimentale.
Una città più pura, ma destinata a una vicenda di declino.