Corriere La Lettura 12.6.16
E i russi dissero: guardatevi da Togliatti
Comunismo
Il diario del viaggio in Urss di Claudio Pavone nel 1963 descrive
l’atmosfera di quel Paese nell’ultima fase del disgelo kruscioviano. Gli
interlocutori sovietici
si mostrano spesso più critici verso il regime di quanto non fossero gli esponenti del Pci
di Marcello Flores
Nel
1963, un anno prima che Krusciov venisse costretto ad abbandonare il
potere in Unione Sovietica, il nostro maggiore storico della Resistenza
Claudio Pavone, all’epoca funzionario dell’Archivio di Stato, trascorre
un mese in Urss per scambiare informazioni su documenti italiani
presenti negli archivi russi. Proviene da Karlovy Vary, in
Cecoslovacchia, dove vi è stato un convegno di storia della Resistenza
cui hanno partecipato numerosi studiosi italiani. Il diario tenuto nel
corso di quel mese, dettagliato e scritto in modo semplice ma ricco di
informazioni, viene ora pubblicato nella sua interezza con il titolo
Aria di Russia (Laterza), a darci un’immagine viva e autentica
dell’ultima fase del periodo kruscioviano (non si capisce perché
l’editore, nella controcopertina di presentazione, parli di un mondo
«non più staliniano, ma non ancora attraversato dal disgelo di
Krusciov», dal momento che quel disgelo stava invece proprio per
terminare).
I resoconti di viaggio nell’Urss sono stati una fonte
ricchissima (a volte quasi unica) non solo per conoscere meglio le
vicende di quel Paese, ma come termometro dei rapporti tra mondo
occidentale e mondo sovietico, tra Ovest ed Est, come specchio delle
speranze riposte nel comunismo o delle delusioni da esso causate, come
barometro del rapporto tra il comunismo europeo e quello di Mosca o del
confronto tra sistemi politici e sociali contrapposti che si aprono,
però, l’un l’altro proprio negli anni successivi alla morte di Stalin.
Uno
degli ultimi contributi allo studio dell’immagine occidentale dell’Urss
— ma con la notevole aggiunta del ruolo attivo svolto dalle istituzioni
sovietiche per favorire e plasmare la percezione e il giudizio dei
visitatori — è stato quello di Michael David-Fox: capace di delineare il
meccanismo di «diplomazia culturale» iniziato negli anni Venti e
rafforzato e istituzionalizzato nell’epoca di Stalin, che permise di
fare interagire la dimensione interna e internazionale del sistema
sovietico. Dedicato soprattutto al periodo staliniano, il libro getta
qualche illuminante occhiata anche negli anni Cinquanta, quando la
costruzione delle società sovietiche di amicizia e rapporti culturali
con i Paesi stranieri crea le premesse per rapporti stabili, anche di
tipo accademico, quali quelli di cui profitterà Pavone per il suo
viaggio.
Qualche anno prima era uscito un libro di Ludmila Stern,
cresciuta in Urss negli anni Sessanta e Settanta, che intendeva capire
come mai i suoi nonni — che avevano attraversato le peripezie dello
stalinismo, compresi prigione e persecuzioni, ed erano potuti uscire
dall’Urss solamente nel 1982 — avessero voluto da giovani andare nel
Paese dei soviet e si fossero perfino convinti a spiare per il Cremlino,
restandone presto totalmente delusi e colpiti. Allo studio dei grandi
intellettuali europei affascinati dal comunismo sovietico, Stern
aggiungeva l’analisi degli strumenti messi in atto dal regime di Mosca
per sedurre gli scrittori occidentali, per manipolarli, per convincerli a
un atteggiamento che tralasciasse dubbi e critiche che pure molti di
loro non riuscivano a nascondersi.
Per quanto riguarda l’epoca
della guerra fredda sono mancati studi e analisi dei «viaggiatori» che
hanno lasciato il loro racconto della Russia poststaliniana, anche se vi
sono stati studi formidabili — purtroppo non tradotti in italiano — che
hanno esaminato gli aspetti più diversi di quella «guerra fredda
culturale» che, iniziata già negli ultimi anni del dittatore georgiano,
si protrasse negli anni di Krusciov e terminò di fatto con la grande
svolta internazionale (sul piano della cultura) della fine degli anni
Sessanta.
Esempi di grande capacità analitica e di giudizio, ma
anche di racconto affascinante, sono i due libri che a distanza di
qualche anno scrisse David Caute, che aveva iniziato la sua carriera di
studioso proprio occupandosi dei fellow-travellers (i «compagni di
strada») che spesso avevano trovato nei loro viaggi in Urss conferma o
delusione delle proprie attese. I due libri di Caute sulla guerra fredda
culturale hanno al centro — il secondo in modo esplicito — la
letteratura, che costituì uno degli strumenti più potenti perché il
confronto Ovest-Est, il giudizio sul comunismo e sul capitalismo, la
propaganda culturale potessero giungere a un grande pubblico cercando di
influenzarlo, tanto al di qua che al di là della cortina di ferro. Con
il risultato di un condizionamento reciproco molto più ricco e
produttivo, favorito da quella parziale apertura che il disgelo
kruscioviano aveva permesso alla cultura sovietica.
Proprio la
mancanza di una documentazione ampia e articolata di memorie e
testimonianze di viaggio in Urss negli anni del disgelo rende il diario
di Pavone una fonte di particolare interesse, perché scritto a caldo sul
momento e non frutto di una rielaborazione successiva. L’autore annota
con frequenza la «luce tersa» e il contrappunto di «nuvole bianche e
lontane», forse influenzato dalla lettura del Dottor Živago , uscito
qualche anno prima e oggetto di aspre polemiche, in cui Boris Pasternak
offre immagini splendide di paesaggi russi degne della tradizione
tolstoiana: quel Pasternak di cui discute con il giovane archivista
russo Papavian, la sua guida quotidiana, che pure non ha potuto leggerlo
perché proibito, ma di cui nutre grande stima, e che parla con finezza
di Pratolini e Piovene, Moravia e Pasolini.
Gran parte del
racconto di Pavone è una bella narrazione «da turista»; come è
dettagliato il susseguirsi di incontri professionali, la visita agli
archivi e il lavoro di collaborazione per il quale era stato invitato.
La parte più interessante, anche oggi, resta il riassunto delle
discussioni avute con gli storici e archivisti russi, il timore di
offenderli con giudizi troppo negativi sull’Urss e la scoperta che in
molti di loro l’atteggiamento critico è più avanzato e consapevole di
quello di tanti intellettuali legati al Partito comunista italiano.
Le
conversazioni con gli amici russi riguardano Stalin e il suo ruolo
storico, la limitatezza delle critiche di Krusciov, le reazioni del
movimento operaio europeo, le posizioni dei comunisti cinesi: «Sento
allora il bisogno — ricorda Pavone — di parlare delle ambiguità del Pci e
della sua doppia anima»; mentre in un’altra occasione è Fridman, un
traduttore dall’italiano, a dire: «Sfogatevi a parlare finché non arriva
al potere il compagno Togliatti», rimarcando scandalizzato che il capo
del comunismo italiano ha affermato in un recente discorso «che la
libertà di stampa esiste in Italia solo sulla carta».