giovedì 9 giugno 2016

Corriere 9.6.16
La resa dei conti si consuma dentro gli schieramenti
di Massimo Franco

Lo scontro più vistoso è quello tra Pd e Movimento 5 Stelle. Ma quello più tossico, sebbene meno appariscente, si sta consumando all’interno degli schieramenti. E potrebbe condizionare i ballottaggi del 19 giugno quanto il primo: anche nel centrodestra. È una conseguenza delle sconfitte o semplicemente delle delusioni al primo turno, da Roma a Milano a Napoli, dove tra l’altro la sede del Pd è stata perquisita ieri in seguito a un’inchiesta per corruzione elettorale.
Matteo Renzi ha fatto sapere che almeno formalmente non si spenderà più di tanto nei ballottaggi, coerente con la tesi di una tornata amministrativa e non politica. Ma quando si delinea la prospettiva di una coalizione di «tutti contro i candidati di Renzi» nelle grandi città, il premier lascia capire che lo schema è meno semplice e meno a senso unico. È vero che il Pd è percorso da tensioni profonde tra la minoranza e il segretario. Ma la stessa maggioranza renziana resiste alla strategia di Palazzo Chigi sulle riforme costituzionali e il referendum.
Ci sono settori della sinistra che non vedrebbero male una sconfitta tale da ridimensionare fortemente Renzi. I contrasti all’opposizione tra Forza Italia e Lega, tuttavia, riproducono uno schema simile sul loro fronte. Il fatto che a Roma Silvio Berlusconi sia accusato di avere diviso il centrodestra per impedire la vittoria dell’asse tra il leghista Matteo Salvini e Giorgia Meloni, candidata di FdI, fa temere contraccolpi a Milano. La figura di Stefano Parisi, designato da Berlusconi, promette di assumere contorni politici di rilievo, se vince come sindaco.
Di fatto diventerebbe anche un concorrente per la leadership nazionale del centrodestra, scavalcando le ambizioni di un Salvini uscito malconcio dalle Amministrative. Per questo, si teme un impegno del Carroccio in tono minore. Lo stesso vale per il Campidoglio, dove i voti delle destre potrebbero essere in parte dirottati verso l’astensione; in parte dividersi tra la candidata del M5S Virginia Raggi (quelli della Meloni); in parte verso il dem Roberto Giachetti (quelli di Alfio Marchini). Si tratta di scenari tutti da verificare, ma che testimoniano le linee di frattura interne agli schieramenti.
La prospettiva di Renzi rimane il referendum. Sarà quello a decidere il suo futuro, non il voto del 19 giugno: in tv ha ribadito che non si dimetterà se il Pd perdesse i ballottaggi nelle maggiori città. «Abbiamo già detto che la mia permanenza al Governo è legata all’esito del referendum», è stata la sua risposta. E ha voluto anche sottolineare che se si votasse oggi con il sistema dell’Italicum, si affermerebbero Pd e FI, non M5S e Lega. Il problema è che tra nemmeno due settimane al ballottaggio ci saranno anche i candidati di Grillo; e che rischiano di prendersi Roma .