Corriere 8.6.16
Grandi manovre
La Nato lancia la sua più
vasta esercitazione dalla fine della Guerra fredda. Per essere pronta «a
reagire in qualsiasi momento». Con un occhio alla Russia
di Maria Serena Natale
Il
tenente Marcin Kawecki pilota un Fighting Falcon, «Falcone da
combattimento»: l’F-16 che in quota supera i 2.400 chilometri orari.
Dopo il training negli Stati Uniti si addestra quattro volte a settimana
nella 32esima base tattica di Lask, Polonia centrale, e a terra per non
cadere in astinenza va forte in moto. A 31 anni, già un matrimonio alle
spalle «perché lei non capiva» la scelta del soldato. Top Gun il suo
mito, «La mia vita? Praticamente uguale», sorride.
Per raggiungere
la base si attraversa la fertile campagna polacca. Le strade rimesse a
posto con i fondi europei sono piene di veicoli blindati che avanzano
lenti nella notte. Nome in codice «Anaconda 16», la più grande
esercitazione militare congiunta della Nato in tempo di pace: dieci
giorni, oltre venti Stati (Italia inclusa), 31 mila militari. «Se vuoi
la pace, prepara la guerra» dicevano gli antichi romani. Oggi in Europa
centro-orientale la Nato lavora per integrare e aggiornare, superare
barriere linguistiche e scarti tra eserciti. Si allena a combattere con
truppe sul terreno e a respingere gli attacchi ipertecnologici
dell’ultima frontiera dei conflitti asimmetrici, la cyberguerra. Con il
pericolo di costruire Fortezze Bastiani condannate all’eterna attesa,
nella logica mai archiviata della «deterrenza». Il nemico non cambia,
anche se tecnicamente resta un «aggressore potenziale». La Russia di
Vladimir Putin rilancia ogni volta che gli Alleati muovono uomini e
mezzi in quella che fino a meno di trent’anni fa era la sua sfera
d’influenza. Il «fianco orientale» che i Paesi del Nord e Centro-Est
vogliono rafforzare schierando truppe Nato permanenti nelle tre
Repubbliche baltiche e in Polonia. Per questo aspettano l’ok dal vertice
dell’Alleanza atlantica che si terrà l’8-9 luglio a Varsavia.
«Mostrarsi
deboli e sguarniti è un invito all’azione per Mosca — dice al Corriere
il ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski —. Il solo modo
per evitare l’escalation è riorganizzarci ed essere in grado di reagire
in qualsiasi momento. Dico “reagire”, non aggredire. La Nato è
un’Alleanza di natura difensiva. La sua missione è proteggere la
popolazione da minacce esistenziali». Come quella russa.
Uno
sforzo di riorganizzazione definito urgente dopo l’intervento di Putin
in Ucraina e l’annessione della Crimea. La più grave crisi europea dalla
Guerra fredda ha convinto l’Occidente a mobilitarsi militarmente ed
economicamente (tentando di destinare alla difesa il 2% del Pil degli
Stati), come ufficializzato dal vertice dei capi di Stato e di governo
Nato del settembre 2014 in Galles. L’esercito russo risponde facendo
trapelare piani di posizionamento dei missili Iskander nell’exclave di
Kaliningrad, racchiusa tra Polonia e Lituania sul Mar Baltico. E il
responsabile degli Esteri Sergei Lavrov ribadisce che dai movimenti
Alleati al confine consegue «il diritto sovrano di garantire la nostra
sicurezza con metodi proporzionati ai rischi».
Ironie della
Storia. Nelle esercitazioni a Nord l’aviazione polacca vola con aerei
forniti dai russi. Prima di comprare dagli Usa 48 «F-16» (il contratto
da 3,5 miliardi di dollari fu firmato nel 2003) la flotta da
combattimento di Varsavia era formata solo da Mig-29 e Su-22, i caccia
sovietici. «Passare dagli uni agli altri significa modificare modo di
pensare — spiega il tenente colonnello Robert Guerzeda —. Cambia tutto, a
cominciare dalla lingua delle istruzioni di bordo». E nei rapporti tra
militari, nella catena di comando, cos’ha comportato il passaggio dal
Patto di Varsavia all’Alleanza atlantica? «All’epoca sovietica non
avevamo molti contatti con i russi... ora ci scambiamo informazioni e
condividiamo problemi e soluzioni».
A 240 chilometri da Lask, in
direzione Nord, c’è il Centro di addestramento congiunto di Bydgoszcz.
Altri 250 chilometri a Ovest e si arriva al Corpo Multinazionale
Nord-Est di stanza a Stettino, al confine con la Germania, nella
Pomerania storica che nei secoli ha visto cambiare confini, confondersi
lingue, nomi e dominatori. È il triangolo che oggi coordina le
operazioni Nato e assicura la reattività delle forze di risposta rapida
in questa parte di continente.
Nella capitale Varsavia, nella
residenza presidenziale del Belvedere da dove il maresciallo Pilsudski
diramava gli ordini nella guerra con i bolscevichi del 1919-21, si
discute di Putin e Nato. «Siamo entrati nell’Alleanza nel 1999 e non
siamo ancora membri a pieno titolo, alla pari degli altri», dichiara
Marek Magierowski, portavoce del presidente Andrzej Duda (uomo del
leader nazional-conservatore Jaroslaw Kaczynski). Non è pericolosa
questa escalation che consente a Mosca di denunciare «provocazioni»?
«Nessuno vuole la guerra ma ormai è evidente che la ripresa delle
ostilità in Europa non è impossibile». Le sanzioni occidentali alla
Russia per la crisi ucraina scadono a luglio e la Ue deve decidere se
prolungarle, mentre affronta terrorismo ed emergenza migratoria: il
blocco centro-orientale contesta la redistribuzione dei rifugiati.
Varsavia rivedrà la linea in cambio di un maggiore impegno nella cornice
Nato? «Sono partite separate — risponde il ministro Waszczykowski —.
Potenziare l’Alleanza è nell’interesse di tutti».