Corriere 7.6.16
I confini invertiti tra centro e periferia
Il Pd ha il primato nel salotto delle città
I quartieri già del Pci a grillini e centrodestra
di Paolo Conti
Il
caso più clamoroso è Roma. Il centrosinistra, con Roberto Giachetti,
tiene bene (33-34%) nel centro storico, nell’area
elegante-borghese-benestante tra Tridente e Prati e in un altro
quadrante del benessere, Parioli-Nomentano, mentre tutte le periferie
guardano al Movimento Cinque Stelle e a Virginia Raggi. Il colpo
d’occhio, scrutando la mappa, rende plasticamente il distacco tra il Pd
erede dei Democratici di Sinistra, del Pds e quindi del Pci, e le zone
più popolari. Raggi vola a Ostia al 43,6% e Giachetti arranca al 19,1, a
Tor Bella Monaca Raggi al 41,2 e Giachetti distante al 17,3 e si
potrebbe continuare. Il Pd dialoga con la borghesia, i professionisti,
col mondo dei circoli e dei salotti ma perde nella Roma più difficile.
Capita sempre così, quando a Roma la sinistra si «autoreferenzializza».
Nel 1985, dopo nove anni di giunte di sinistra troppo sicure di loro
stesse, furono le periferie a restituire il Campidoglio alla Dc. Nel
2008 furono sempre le periferie a votare più per Gianni Alemanno e assai
meno per lo sfidante, l’ex sindaco Francesco Rutelli, percepito come un
ritorno e non come una novità. E Alemanno vinse.
Lo schema
funziona anche nelle altre città coinvolte in questa competizione. A
Milano, il centrosinistra ha il 42,2% nel centro-zona 1 ma perde
complessivamente cinque municipalità su nove rispetto al 2011, inclusa
la zona 9, Niguarda–Dergano, sempre governata dal centrosinistra, anche
quando a palazzo Marino regnava il centrodestra.
Torino conferma
l’addio delle «aree difficili» al Pd e al centrosinistra: nel centro
storico il sindaco uscente Piero Fassino (ex segretario dei Ds) naviga
su un solido 50% e più, mentre Chiara Appendino del M5S si ritrova al
22%, ma basta attraversare le periferie per individuare una Torino
opposta, spesso con Chiara Appendino in vantaggio.
A Bologna (e
parliamo di una città che per decenni ha legato il proprio nome alla
sinistra, quando l’Italia era democristiana, la città era «La Rossa» per
eccellenza) il fenomeno è lo stesso. Il centrosinistra con Virginio
Merola si è ripreso il quartiere di Santo Stefano, per anni bacino del
centrodestra, ma nelle altre periferie c’è molto sostegno a Lucia
Borgonzoni, candidata del centrodestra. Per questo Merola ha già pronto
un comizio in quel della Bolognina, in piazza Unità, proprio nel
tentativo di riaprire un dialogo anche puntando sui simboli.
I
centri storici e le aree più economicamente sicure sembrano insomma
individuare nel centrosinistra un interlocutore rassicurante e, in
qualche modo, «somigliante» al proprio modello di vita. Le periferie
invece inseguono uno strumento politico di negazione, di dissenso.
Spiega lo storico e politologo Giuseppe Vacca, studioso del marxismo e
direttore della Fondazione Istituto Gramsci: «C’è un fenomeno, non solo
italiano e non solo europeo, che spinge comunque alla protesta
elettorale contro ciò che rappresenta il potere e l’istituzione. Ma poi
c’è un fenomeno tutto italiano che spiega bene ciò che è accaduto in
questa tornata elettorale». E sarebbe, Vacca? «Gli attuali partiti
politici tutti ”nuovi” e i sindacati, invece strutturati su identità
ideologiche della Prima Repubblica, non dialogano più. E lo sganciamento
della dimensione sindacale dai partiti che erano di riferimento, sul
territorio, ha il suo prezzo. In più i partiti, incluso il
centrosinistra, si organizzano e comunicano sempre di più grazie alle
reti d’opinione. Quindi con chi è già incluso, il ceto medio. E chi
resta fuori, gli esclusi, votando protestano, manifestando frustrazione,
negatività. Dunque una modalità di essere “anti”, con qualsiasi
mezzo...».