martedì 7 giugno 2016

Corriere 7.6.16
Miguel Gotor
«Verdini è come Attila fa crollare il partito Il modello è Zedda perché difende l’unità»
intervista di di Monica Guerzoni

ROMA «Il tempo dell’arroganza è finito».
La rivincita del gufo, senatore Miguel Gotor?
«Al contrario, mi riconosco nell’appello di Renzi, pancia a terra e testa alta. Ma ricordo che siamo nati per unire il centrosinistra, non per dividere».
Pd modello Cagliari?
«Zedda è l’unico sindaco che vince al primo turno, difendendo l’unità del centrosinistra. Noi invece non sfondiamo a destra e produciamo una rottura a sinistra, che finisce nell’astensione e nel M5S».
Tutta colpa di Verdini?
«È come Attila, dove passa lui muore il Pd. Paghiamo certamente Verdini, lo dicono i dati di Cosenza e Napoli».
Come fareste al Senato senza i voti di Verdini?
«Non è vero che Verdini è necessario, i suoi voti sono aggiuntivi. Noi della minoranza abbiamo sempre votato le riforme, tranne l’Italicum. Verdini invece ha un costo enorme. Puro masochismo».
Il partito della nazione si allontana?
«È una prospettiva sbagliata. Se tu cerchi rapporti organici con un esponente principe della stagione berlusconiana, il prezzo che paghi è una divisione nel centrosinistra».
Darete una mano a Giachetti, Sala e Fassino?
«La partita è aperta e noi ci siamo, come nel primo turno. Consapevoli che servono al Pd grinta e umiltà. Roma e Torino dimostrano che i cinquestelle sono il sintomo di un problema, che va ascoltato. Noi invece abbiamo impostato una campagna fondata sulla demonizzazione, neanche fossero i nuovi barbari».
Un campanello d’allarme?
«Parisi mi ha sorpreso, la destra unita è competitiva più che mai. E mi colpisce che Giachetti vince ai Parioli e al centro di Roma, mentre in tutti gli altri quartieri il Pd è il secondo partito. Alla Barriera Milano di Torino passiamo dal 55% al 35%, dati impressionanti. Segnali profondi che ci devono invitare all’umiltà».
Qual è il titolo, per lei?
«È finito il tempo dell’arroganza. Ritengo irragionevole aver sputato sul 25% del 2013 con cui il Pd governa, c’è stata una continua bastonatura interna su una comunità».
Aprirete il congresso?
«Ora siamo impegnati nei ballottaggi. Ma da tempo abbiamo posto il problema che è difficile governare e fare al tempo stesso il segretario. Il Pd è un fiore che va coltivato, non un mero strumento di governo trasformato in un comitato elettorale».
Darete battaglia?
«In prospettiva sì, è una questione cardine. Un altro errore è usare il referendum come elisir. È un tema che interessa poco i cittadini e giugno viene prima di ottobre. Far finta che le amministrative non ci fossero è stato un errore».
Renzi sbaglia strategia?
«Altro che sole in tasca... Questo voto ci restituisce un Paese inquieto, sfiduciato. Servirebbe maggiore attenzione a un messaggio di verità».
Si è rotto lo «storytelling»?
«Tutta una roba costruita, “chi mi ama mi segua e chi ha problemi è un gufo”. Sono due anni che facciamo argine ai cinquestelle dicendo che le cose non stanno così. Rischiamo di concimare il terreno dove la pianta cresce».