martedì 7 giugno 2016

Corriere 7.6.16
Il concorso, le biblioteche e i dubbi del ministro
di Paolo Di Stefano

Le dimissioni in blocco del Comitato tecnico-scientifico nazionale per le biblioteche, avvenute il 27 maggio scorso, sono un fatto insolito e in sé ammirevole. Insolito vedere un intero comitato ministeriale lasciare il proprio incarico in netto dissenso con una decisione del Ministero. Quale decisione? Nel bando di concorso per l’assunzione di 500 funzionari nei Beni culturali, solo il 5% è destinato alle biblioteche statali, per un totale di 25 bibliotecari. Hanno lasciato tutti: Giovanni Solimine, Mauro Guerrini, Luca Bellingeri, Paolo Matthiae e Gino Roncaglia, contestando il criterio aritmetico adottato e ritenendo insufficiente quel numero. Dunque, le dimissioni sono ammirevoli perché non fondate su ragioni personali o peggio, come spesso accade.
Il 63% dei bibliotecari attuali supera i sessant’anni, solo il 2,7% è in età inferiore ai 50 e nell’anno in corso 37 lasceranno il servizio. Inutile soffermarsi sull’importanza del patrimonio librario italiano (40 milioni di esemplari tra manoscritti, incunaboli, edizioni a stampa, periodici, edizioni musicali, raccolte di mappe geografiche, incisioni e stampe): basti citare, delle 47, la Laurenziana di Firenze, la Marciana di Venezia, la Braidense di Milano, l’Estense di Modena, oltre alle due Nazionali (Roma e Firenze). Ed è pure inutile soffermarsi sul fatto che, a differenza di quel che avviene nelle maggiori biblioteche del mondo, la sera dopo le 19 e nel fine settimana è per lo più escluso l’accesso per mancanza di personale (ma spesso le nostre biblioteche sono aperte solo il mattino). Per non dire delle nuove acquisizioni praticamente impedite dalle esigue finanze, e del conseguente invecchiamento delle collezioni. Va detto, a scanso di equivoci e a onore del vero, che la responsabilità di questa situazione vicina al collasso, che si trascina da anni e anni, non si può certo attribuire all’attuale governo. Franceschini, del resto, ha provato a rispondere al Comitato, chiedendo la revoca delle dimissioni. Ma quel che colpisce, in coda alla sua lettera ( la Repubblica, 31 maggio), è il sospetto che la protesta sia nata da altre preoccupazioni: cioè dall’allarme provocato dalla «serietà del concorso». Nel chiedere ai cinque professori di ripensarci, il ministro insinua insomma che gli stessi non gradiscano che si tratti di un concorso fondato su criteri affidabili, estranei a designazioni politiche. Bella fiducia.