sabato 4 giugno 2016

Corriere 4.6.16
Per rilanciare la scienza servono politiche mirate
di Massimo Sideri

Il basso livello di interesse in Italia per le questioni scientifiche non si evince solo dai casi degli scienziati costretti a fuggire, come quello di Ilaria Capua, ma anche dalla scarsa attenzione storica per i nostri meriti: l’esistenza scientifica del vuoto, negata fin da Aristotele, fu dimostrata nel 1644 da un allievo di Galileo Galilei, Evangelista Torricelli. Nel 1648 il filosofo Blaise Pascal non fece altro che ripetere quell’esperimento con il mercurio per diventare, su molti testi anche italiani, lo «scopritore del vuoto». Una sindrome di cui soffriamo ancora oggi: la Commissione Ue ha appena autorizzato la prima terapia genica ex vivo, cioè preparata fuori dal corpo umano, in Europa. Potremmo dire al mondo visto che anche negli Usa non era mai accaduto. Il farmaco Strimvelis per la Ada-Scid, più nota come sindrome dei «bimbi in bolla» per la quasi totale assenza di difese immunitarie, sarà prodotto dall’inglese Gsk. Ma se la manifattura sarà affidata a una delle big della farmaceutica — una dimensione che abbiamo perso ai tempi della Montedison con la vendita all’estero della Farmitalia-Carlo Erba — la terapia è integralmente made in Italy: nata nel Sr-Tiget (joint venture tra San Raffaele e Telethon diretta da Lugi Naldini) la cura è la diretta conseguenza di un altro primato dimenticato come quello del vuoto: l’utilizzo delle cellule staminali del sangue. Il numero di Nature del 9 aprile del ‘92 certificava il primo trattamento con cellule staminali su un bambino di 5 anni affetto da Ada ad opera dello staff di Claudio Bordignon. Lo scienziato del San Raffaele riprendeva il lavoro degli americani Michael Blaese e French Anderson ma, in più, introduceva quella che sta diventando la chiave delle cure geniche, la manipolazione delle cellule con un retrovirus. «Italians first to use stem cells» titolava la rivista scientifica. Fu, come ricordò il professore allora, non solo una vittoria scientifica, ma anche etica. Siamo stati pionieri e resilienti, per 24 anni. Per inciso, almeno per questa apertura verso la scienza di frontiera, la figura di Don Verzé dovrà forse essere recuperata (nella «basilica» del San Raffaele l’altare è ancora sovrastato da un’enorme, pendente, elica di Dna). L’Italia di oggi non ama la scienza, nonostante il grande lavoro di divulgazione che Piero Angela ha fatto con Quark su almeno un paio di generazioni di telespettatori, ma la scienza, nonostante tutto, sembra continuare ad amare l’Italia. Il successo su una delle malattie geniche più rare al mondo è stato ottenuto per una sommatoria di variabili non replicabili: la morte nel ’99 del diciottenne Jesse Gelsinger fu un duro colpo per le terapie geniche nel mondo. Ma grazie alla Fondazione Telethon — e, dunque, grazie alla generosità degli italiani — i test del San Raffaele non furono fermati. E, anzi, furono riconquistati cervelli in fuga come quello di Naldini, lo scienziato che ha «addomesticato» l’Hiv per trasformarlo in un potente veicolo di cura. Lo stesso Naldini con la start up biotech Genenta, fondata con Pierluigi Paracchi, vuole portare queste terapie fuori dal campo delle malattie rare per aggredire il cancro. Nonostante tutto l’Italia fatica però a trovare grandi finanziamenti e a trasmettere le proprie scoperte scientifiche all’industria. È sicuramente vero che non riusciremo mai a fondare la nuova Facebook. Ma invece di occuparci di questioni così «filosofiche» e anche un po’ deprimenti sarebbe più saggio pensare a delle politiche fiscali, come ha fatto Londra, per difendere un primato che potrebbe sfuggirci sotto le mani. In fondo, per disattenzione.