Corriere 4.6.16
Le nuove riforme di papa Francesco
di Francesco Maria Greco
Le
sfide di fronte alle quali si trovò papa Francesco al momento
dell’elezione erano amplificate dalla particolare gravità di una crisi
culminata nelle sofferte dimissioni di Benedetto XVI. Due erano i
cantieri da aprire con urgenza, pur sapendo che la Chiesa per sua natura
non è attrezzata a subire drastici rivoluzionamenti. Il primo
riguardava la governance: dalla scelta di persone capaci di incarnare un
genuino rinnovamento della gestione istituzionale, ad una riforma delle
strutture comprese quelle preposte alle attività economico-finanziarie.
D’altronde la stessa aria che si respirava nella fase pre-conclave
lasciava presagire che l’elezione del successore di Pietro dovesse
convergere su un cardinale disposto a prender di petto certi fenomeni di
malgoverno per nulla estranei al volontario esilio di papa Ratzinger.
Il secondo consisteva nella ricerca di un approccio pastorale più
accessibile per riavvicinare le masse ad una religiosità spontanea,
pungolando società votate a relativismo e secolarizzazione esasperata.
Benedetto
è stato una personalità straordinaria, purtroppo largamente incompresa,
e alcune criticità ascrittegli erano un retaggio proveniente da anni
precedenti. Il suo percorso fu oltretutto complicato da problemi di
comunicazione. Per contro la semplicità di papa Bergoglio nel parlare
alla gente ha sconfitto l’indifferenza di tanti e proprio la
comunicazione rappresenta un tema centrale del suo operato. Dei due
cantieri aperti, quello pastorale ha riscosso maggior successo pur in
presenza di voci dissonanti, utili comunque a scongiurare acritici
unanimismi. Meno semplice appare il fronte della governance e i temi più
delicati, nonostante gli sforzi esperiti, rimangono quelli della
gestione bancaria e patrimoniale. Quanto al rapporto fra la Segreteria
di Stato e la neo istituita (febbraio 2014) Segreteria per l’Economia,
un periodo di normale rodaggio consoliderà la ripartizione delle
rispettive competenze.
Venendo alla riforma della Curia e del
governo della Chiesa, qualche perplessità è emersa per i tempi lunghi
rispetto alle aspettative createsi all’inizio del pontificato. E’
probabile che la fase avviata tre anni fa subisca una certa
accelerazione in autunno, dopo la fine del Giubileo. Non si prevedono
colpi di teatro ma soluzioni, forse già chiare nella mente del
Pontefice, che vorrebbe inquadrarle in un processo ecclesiale
coinvolgendo tutti i protagonisti istituzionali. Questo spirito di
condivisione invierà un preciso segnale, all’interno e all’esterno della
Curia, verso chi teme tale riforma. C’è però un ambito nel quale le
cose stanno procedendo a un ritmo superiore rispetto al resto e non è un
caso che sia proprio quello del sistema comunicativo della Santa Sede.
In verità se ne parlò per la prima volta vent’anni orsono, poi con un
solo anno di attività preparatoria il 27 giugno 2015 veniva istituita
con motu proprio di papa Francesco la Segreteria per la Comunicazione.
Ne conseguirà una ristrutturazione globale dell’apparato informativo da
ricondurre ad unità gestionale sotto un Dicastero cui risponderanno
istituzioni con una lunga storia: dalla Sala Stampa, al Pontificio
Consiglio per le comunicazioni sociali, dall’Osservatore Romano a Radio
Vaticana.
Il progetto, sottoposto al vaglio dei Capi Dicastero
della Curia e del Consiglio dei 9 Cardinali che assistono il Papa nelle
riforme, crea inevitabili resistenze sia del personale che teme per il
proprio futuro, sia di chi vede nella nuova Segreteria un superdicastero
paragonabile agli altri due pilastri (Segreteria di Stato e Segreteria
per l’Economia). In attesa della piena operatività del progetto,
appaiono comunque condivisibili le sue finalità: coordinamento di enti
chiamati a parlare con una voce sola evitando dissonanze, contenimento
delle spese, maggiore penetrazione dei media vaticani nella
comunicazione globale.