Corriere 3.6.16
Boldrini: sul referendum no agli scontri di parte
intervista di Monica Guerzoni
La
presidente della Camera Laura Boldrini al Corriere : il referendum
costituzionale di ottobre non è sul governo, no a scontri di parte.
ROMA
Novecento ragazzi nell’aula di Montecitorio, tra studenti, scout e
volontari del servizio civile. E quando la cerimonia del 2 Giugno
finisce parte l’assalto dei giovani per scattarsi un selfie con Laura
Boldrini. La chiamano per nome, le chiedono di voltarsi o di sorridere,
neanche fosse un’attrice sul tappeto rosso della Croisette di Cannes e
non la terza carica dello Stato. Una piccola prova di resistenza per la
presidente della Camera, che riemerge dall’onda provata, ma contenta per
come è andata: «C’è una Italia positiva, costruttiva, che è migliore di
quanto noi a volte avvertiamo, perché non fa notizia. Sono
assolutamente d’accordo con il presidente Sergio Mattarella».
I ragazzi hanno ricevuto una copia della Costituzione, lei pensa che sia ancora la «più bella del mondo»?
«Questi
ragazzi hanno lavorato sulla Costituzione, sono modelli davvero
positivi. Dedicano ore del proprio tempo a chi ne ha bisogno, si
occupano di ambiente, del sociale e vanno valorizzati per questo. Da due
anni apro Montecitorio il 2 giugno per dare un riconoscimento a tutti
coloro che decidono di occuparsi del Paese e a loro dico, “anche voi
siete la Repubblica, voi traducete i valori della nostra Carta in azioni
concrete”».
I 70 anni del voto alle donne sono stati celebrati con grande commozione. Eppure l’astensione dalle urne è al massimo storico.
«Al
1946 siamo arrivate non per gentile concessione, ma grazie a tante
donne straordinarie che hanno combattuto con perseveranza per quel
risultato. E anche grazie a uomini come il deputato mazziniano Salvatore
Morelli, che nel 1867 presentò una proposta di legge contro la
schiavitù domestica, il divorzio e per il voto alle donne. Quasi gli
farei fare un busto, qui alla Camera».
Un busto per Morelli?
«È
lui il mio eroe maschile. Per le sue idee si condannò al pubblico
ludibrio. Nei resoconti parlamentari dei suoi interventi in Aula si
legge “ilarità, risatine, sommovimenti”. La satira lo ritraeva vestito
da donna... Un uomo molto avanti e dalla parte delle donne. Ne abbiamo
bisogno anche oggi, di uomini così. Ecco, vorrei mandare un messaggio
forte e chiaro agli uomini».
Si riferisce all’omicidio di Sara, ai tragici, ultimi femminicidi?
«Sì,
mi riferisco a questo. Agli uomini che, come noi, sono inorriditi,
voglio chiedere di non lasciarci sole in questa battaglia di civiltà. Ai
violenti voglio dire rassegnatevi, fatevene una ragione, perché noi
donne e le nostre ragazze non rinunceremo mai ai nostri diritti, mai
limiteremo la nostra libertà. Nulla, nemmeno i metodi violenti, ci
faranno tornare indietro».
Non crede che anche la politica usi a volte toni troppo accesi?
«Bisognerebbe
abbassare i toni del dibattito pubblico. C’è chi usa un modo aggressivo
e sprezzante di esprimersi, specialmente verso le donne, pensando
sempre di delegittimarle. E questo ha un peso. Chi ha responsabilità
politiche dovrebbe stare attento due volte, sennò rischia di innescare
un sistema di emulazione. Anche la pubblicità e la tv dovrebbero evitare
di esporre la donna rendendola oggetto. E bisognerebbe cambiare il modo
di parlare alle donne e di guardarle. Evitando, quando non si è
d’accordo, di rivolgersi a loro con epiteti sessuali».
Lei sprona
gli italiani a votare. Vale anche per le amministrative, visto che il
governo sembra puntare molto più sul referendum?
«Sì, per me è un
valore sempre. Io l’ho detto in occasione del referendum sulle trivelle,
lo dico adesso per le amministrative e lo dirò per la riforma
costituzionale. Non cambio idea a seconda dell’appuntamento».
L’astensione è al massimo storico...
«La
democrazia non si alimenta da sola, se la lasciamo andare cade, come
quando si va in bicicletta. Bisogna pedalare per rimanere in sella. Il
voto è un diritto e anche un dovere. Non è un dono, è una conquista.
Tanti si sono sacrificati per questo, sono morti o hanno dato gli anni
migliori della giovinezza. Anche chi non si sente pienamente
rappresentato ha comunque il dovere di esprimersi con il voto,
altrimenti perde il diritto di lamentarsi».
La nostra democrazia è in pericolo?
«Non
direi proprio. Allo stesso tempo però ritengo che il minimo che il
cittadino deve fare è andare a votare. E comunque non basta, bisogna
regalare tempo ed energie al bene comune. Se ognuno di noi regalasse
un’ora alle persone sole, agli anziani, a recuperare uno spazio verde
non vivremmo in un Paese diverso? Invece a volte rischia di prevalere
l’individualismo, abbiamo bisogno di più spinta ideale per cambiare le
cose».
Se passa il referendum, la Costituzione cambierà. Da una
parte c’è il governo, che spinge per il sì e ne fa uno spartiacque tra
il prima e il dopo. Dall’altra il fronte del no e quanti chiedono che
non sia un «armageddon».
«Bisogna stare ai fatti, senza caricare
questo voto di altri significati. Noi come italiani ci dovremmo
esprimere sul merito della riforma, che è la Costituzione. Il referendum
di ottobre non può diventare un test sul governo, non è nelle cose.
Stiamo parlando della Costituzione italiana. E qui anche i giornalisti
dovrebbero riuscire a non schierarsi, sforzandosi di mettere i cittadini
in condizioni di comprendere il merito».
Vede il rischio di dividere l’Italia tra chi vuole cambiarla in meglio e chi vuole che tutto resti com’è?
«Durante
l’iter parlamentare tutti i partiti condividevano la necessità di
rivedere la Carta e la legge elettorale. C’era chi si batteva per
ridurre anche il numero dei deputati, chi sosteneva che fosse meglio
abolire il Senato e chi spingeva perché i senatori fossero eletti
direttamente. È stato un confronto tra posizioni diverse, non tra chi
voleva cambiare e i conservatori. Nessuno voleva che il bicameralismo
paritario restasse com’è. Il Parlamento ha approvato la legge e ora il
testimone passa agli italiani».
Condivide gli appelli ad abbassare i toni dello scontro politico?
«La
Costituzione non la cambi a ogni legislatura, ma quando è strettamente
necessario e spesso passano tanti anni tra un intervento e l’altro. E
quindi, come ha scritto il direttore Luciano Fontana sul Corriere , giù i
toni e no alle tifoserie. Anche perché gli effetti delle riforme si
capiscono fino in fondo solo quando vengono messe in atto».
«O cambio l’Italia, o cambio mestiere», ripete il premier. Se vince il no, Matteo Renzi deve dimettersi?
«Io
non credo che la questione vada messa in questi termini, per me il
quesito è sulla Costituzione e lì mi fermo. Non si dovrebbe caricare di
significato politico questo referendum. Non si dovrebbe legare la
revisione della Carta al futuro politico di chi oggi è al governo».