Corriere 30.6.16
Il caso del palazzo affittato prima di essere costruito Dossier sull’Atac alla Procura
di Sergio Rizzo
Roma
Sono sei pagine stringate, che però dicono tutto sul modo con cui è
stato gestito a Roma per anni il denaro dei cittadini. Consigliamo alla
sindaca Virginia Raggi di leggerle con attenzione, sicuri che non avrà
difficoltà a farlo: l’amministratore unico dell’Atac Armando Brandolese e
il direttore generale Mario Rettighieri, nominati dal commissario
Francesco Paolo Tronca, le hanno portate in procura.
È il quarto
esposto in poche settimane che i vertici della più grande
municipalizzata italiana, quella che con quasi 12 mila dipendenti
gestisce il trasporto pubblico nella capitale, recapitano ai magistrati,
alla Corte dei conti e all’Autorità anticorruzione.
Il bersaglio è
un palazzo nella periferia romana la cui costruzione è affidata al
gruppo romano Parnasi, lo stesso che dovrebbe realizzare il nuovo stadio
della Roma calcio. Un immobile da 114 milioni, pensato per ospitare la
nuova sede di quell’azienda colabrodo. Tutto comincia nel 2006, sindaco
Walter Veltroni. Ma l’accelerazione avviene nel 2009, quando al
Campidoglio c’è Gianni Alemanno. Il Comune delibera di comprare un
palazzo da destinare a «sede unica della mobilità».
Due mesi dopo
l’amministratore delegato Adalberto Bertucci chiude l’operazione con Bnp
Paribas, il proprietario dell’area del Castellaccio, dalle parti
dell’Eur.
Il contratto viene stipulato a razzo. E a razzo cambiano
i numeri: la superficie passa da 21.000 a 26.000 metri quadrati e il
corrispettivo sale da 99 a 118 milioni.
Nel 2009 l’Atac sgancia pure 20 milioni sull’unghia, come anticipo, e questa diventa la pietra dello scandalo.
I
lavori cominciano, ma subito scoppia un contenzioso sui ritardi. Per
inciso, sono i mesi in cui lo scandalo parentopoli investe l’azienda.
Passa un annetto e la cosa si sistema con una curiosa transazione.
L’Atac non compra più l’immobile, impegnandosi invece ad affittarlo
pagando il 7% del valore: 7 milioni 980 mila euro l’anno. Durata: nove
anni più nove, fanno 143 milioni e 640 mila euro. In cambio, il locatore
concede uno sconto di 4 milioni sul prezzo di un’eventuale vendita, che
resta comunque un’opzione.
Sottolinea l’esposto come il progetto
originale che doveva essere realizzato con le procedure di evidenza
pubblica, abbia «subito ingiustificati stravolgimenti fino a tradursi in
un vero e proprio affidamento diretto» con la trasformazione «in un
contratto di locazione peraltro già in essere nonostante il bene non
fosse ancora venuto ad esistenza e che a tutt’oggi neppure risulta
collaudato e consegnato all’Atac».
Non bastasse, «la direzione
dell’Atac non ha mai proceduto alla risoluzione del contratto di
compravendita coerente con gli interessi pubblici».
Sì, perché c’è
anche questo. «Non è stata reperita documentazione attestante la certa
copertura finanziaria dell’operazione. Va rilevato che la situazione
dell’Atac non consentiva l’attivazione di mutui bancari», scrivono
Brandolese e Rettighieri. Confermando la tesi già espressa a inizio 2014
dagli ispettori del ministero dell’Economia, secondo cui le condizioni
economiche dell’Atac «difficilmente consentiranno di far fronte agli
impegni». Per non dire che «un immobile di tali caratteristiche» nemmeno
serve.
Anche questa rogna è adesso sul tavolo di Giuseppe
Pignatone insieme a quelle sui distacchi sindacali, la gestione delle
mense e la fornitura delle gomme.
E non è escluso che venga presto
raggiunto da un quinto dossier: quello delle pulizie. Una indagine
interna su un appalto triennale da 38,6 milioni ha fatto venire alla
luce tutto un mondo. Il rapporto descrive «lavorazioni non effettuate» o
«imputate più volte», oltre a «superficialità nell’esecuzione» e
«ripetute condotte inoperose». Ma ancor più colpisce l’elenco degli
interventi di pulizia dichiarati in locali che risultavano «sotto
sequestro, interdetti all’uso, inesistenti…».
Cose turche, con
l’aggravante di graziosi sconti concessi sulle penali da applicare per
contratto: dai 954 mila euro dovuti ai 92 mila effettivamente pagati.
O di subappalti per gli impianti di erogazione del gas andati avanti per un anno e mezzo senza che esistessero i presupposti…