mercoledì 29 giugno 2016

Corriere 29.6.16
Per il premier una campagna tra le ombre dell’Europa
di Massimo Franco

È possibile che alla fine la raccolta delle firme per il «sì» al referendum istituzionale di ottobre riesca. La data limite è metà luglio. Eppure, nel governo e nel Pd l’inquietudine aumenta. Non centrare l’obiettivo delle cinquecentomila firme sarebbe un brutto segnale; e un’arma di propaganda alla rovescia a disposizione di un «no» che capta le difficoltà di Palazzo Chigi. È significativa l’ammissione del capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato. «Contiamo di finire la raccolta il 15 luglio», dichiara. «Comunque», aggiunge, «le firme sono un di più».
È vero. Il numero dei parlamentari che hanno chiesto la consultazione è già sufficiente. Nella sua precisazione, tuttavia, si indovina il timore che l’appello di Matteo Renzi a impegnarsi nella campagna sia stato accolto con scarso entusiasmo dal Pd. Le voci su un rinvio da ottobre a dicembre riflettono l’incertezza sull’esito ma anche sulla strategia. L’immagine del premier britannico David Cameron che annuncia le dimissioni dopo la sconfitta nel referendum sulla Brexit, voluto da lui, evoca paragoni fastidiosi.
Oltre tutto, Cameron aveva dichiarato che non avrebbe gettato la spugna, qualora avesse perso. E invece è stato costretto a farlo. Per Renzi, che ha legato la propria sopravvivenza politica al referendum sulle riforme, andare avanti come se niente fosse sarebbe più complicato. Le voci di congiure in incubazione nel Pd per sostituirlo sono probabilmente messe in giro ad arte. E le prospettive di un’affermazione non si possono considerare tramontate, anzi. Il nervosismo però è palpabile, e si allunga anche sul cosiddetto I talicum , di cui si invoca la revisione facendo infuriare i seguaci di Grillo.
La personalizzazione del voto referendario si sta rivelando uno svantaggio. E il tentativo di riportare la discussione sul merito, rischia di apparire un fattore di debolezza. Gli attacchi concentrici di M5S, minoranza Pd, FI e Lega tendono a mettere il governo all’angolo. Per Renzi, attento a presentarsi come distruttore dello status quo, essere identificato col potere costituito è una sorpresa traumatica. Eppure, senza volerlo in due anni e mezzo è questa l’immagine che ha finito per trasmettere; e che sta pagando. È visto come simbolo di una classe politica umiliata dall’ondata populista.
E pazienza se la neosindaca del movimento di Beppe Grillo, Virginia Raggi, non riesce ancora a mettere su la sua giunta in Campidoglio. Lo stesso voto antieuropeo espresso a Strasburgo dal M5S in compagnia delle destre xenofobe inglesi e francesi e agli estremisti greci di Syriza, non sembra influire più di tanto. Pur avendo un serio problema di credibilità internazionale, il M5S può contare sul malumore di larghe fette dell’opinione pubblica; e lo sfrutta spregiudicatamente. Per questo Renzi è inquieto. Non sa più se e quanto il tempo lavori per o contro di lui