Corriere 28.6.16
Agamennone e i miti greci, fascino eterno
di Eva Cantarella
È
grande e vario il mondo nel quale ci fa entrare Io, Agamennone ,
l’ultimo libro di Giulio Guidorizzi (Einaudi, pagine 208, e 14) . È un
mondo ampio come quello di Omero, ma raccontato nello spazio del
romanzo, genere che per eccellenza rappresenta la modernità: un mondo
collocabile millenni or sono, al quale si sono ispirate innumerevoli
riscritture che hanno dato al passato nuova vitalità e al presente la
forza di una memoria che sta alla base della nostra civiltà. Basta
ricordare nomi come Shakespeare, Kleist, Giraudoux, Christa Wolf, basta
ripensare alle letture di Simone Weil e di J.P. Vernant, agli studi di
antropologia e di linguistica, ai ritrovamenti archeologici per rendersi
conto di quante sono le letture di Omero che fanno da sfondo al
personaggio delineato da Guidorizzi di Agamennone, eroe di una società
difficile e complessa, in cui ciascuno lottava non solo contro gli
altri, ma anche e forse in primo luogo contro se stesso al fine di
«essere sempre il primo e il migliore», secondo l’insegnamento dato dal
centauro Chirone al giovane Achille e da allora in poi dai precettori a
tutti i giovani greci. Era una cultura, quella eroica, in cui alla lotta
contro gli altri e contro se stesso si aggiungeva quella di tutti
contro la forza inesorabile che i greci chiamavano moira , il destino al
quale non si sfuggiva e che attendeva di essere compiuto. Era un mondo
in cui tutti sapevano che quello che sarebbe restato di loro dopo la
morte sarebbe stato solo il ricordo affidato alle parole dei poeti,
presenti e futuri. Per questo «avere fama gloriosa» equivaleva a
esistere ed essere ricordati dai posteri era l’unica forma di
immortalità.
A raccontarci tutto questo, nel libro di Guidorizzi, è
lo stesso Agamennone, al medesimo tempo narratore e protagonista dei
nove capitoli (oltre a un prologo e un epilogo) nel quali il libro è
diviso. Ed è un Agamennone per molti versi inedito: da un canto il
sovrano arrogante che sottrae ad Achille la schiava Briseide,
scatenandone la celebre «ira funesta»; d’altro canto un uomo pieno di
umanità e di solitudine, ultimo discendente di una stirpe a dir poco
truculenta, le cui atroci vicende sono descritte nel primo capitolo,
dedicato alla storia degli antenati di Agamennone. A partire dal secondo
capitolo, il tempo è quello della guerra di Troia, raccontata
attraverso la trattazione di aspetti fondamentali della civiltà omerica,
a partire dalla timè , l’onore, per passare a Eros e ai poteri di
Afrodite, alla funzione economica e sociale dei doni, agli inganni ai
quali i due eserciti ricorrono nel corso dell’inesorabile Polemos , la
guerra che insanguina per dieci anni il suolo dell’Anatolia. E poi,
ancora, un capitolo sull’anima e sul destino ( Psyché e la Moira ), zone
oscure solo parzialmente illuminate da dèi che non sciolgono mai (uno
dei tanti meriti del libro) il loro mistero: «Come posso descrivere
l’amore di un dio?» — dice Cassandra, che non riesce a descrivere
l’amore di Apollo — «Non l’ho mai visto, ma è come se improvvisamente la
terra incominciasse a tremare, sento un’ondata di calore e di luce che
monta e poi sono scossa da un’energia che mi percorre tutta, e forse
allora lo vedo ma non posso ricordarmene». Infine, il ritorno in patria (
nostos ) di Agamennone ucciso dalla moglie Clitennestra con la
complicità del suo amante Egisto (seguendo, in questo caso, il racconto
di Eschilo nell’ Orestea ).
Intorno a tutto questo ruota la
riscrittura omerica di Guidorizzi, in un libro veramente affascinante,
che è contemporaneamente romanzo e saggio, secondo la prospettiva
contemporanea di non porre più nette cesure tra questi generi, per
raccontare e insieme interpretare un mondo che, con i suoi miti,
continua a comunicare e a vivere con noi.