sabato 25 giugno 2016

Corriere 25.6.16
L’estasi insegue Dio. E fallisce
di Pietro Citati

Angela nacque a Foligno attorno al 1248, e vi morì il 4 gennaio 1309: sposò a vent’anni un ricco signore della città; e ne ebbe alcuni figli, che come il padre morirono verso la fine del secolo. Aveva avuto, sino allora, una vita assolutamente normale, simile a quella di una qualsiasi donna borghese. All’improvviso, verso i quarant’anni, Angela si convertì: rinunciò alla sua proprietà e ai suoi poderi: aderì al terz’ordine di San Francesco: fece un pellegrinaggio ad Assisi: esaltò la morte dei suoi come un dono del cielo; e dettò quello che chiamiamo Memoriale , oggi tradotto e commentato in modo eccellente da Francesco Santi ( La letteratura francescana , volume V. La mistica , Fondazione Valla – Mondadori). Il libro fu subito ammiratissimo. Nel suo Arbor vitae crucifixae , Ubertino da Casale ricorda di aver conosciuto Angela nel 1298 e di aver venerato la sua vita spirituale.
Se rileggiamo oggi il Memoriale , queste intensissime pagine che un frate sconosciuto tradusse dall’umbro in latino, ci folgorano come allora. Il Memoriale è tra i massimi testi mistici di ogni tempo e di ogni Paese: la vocazione spirituale di Angela non è inferiore a quella di san Francesco, di santa Teresa e di san Giovanni della Croce. Come in loro, la sua mistica contiene in se stessa una profondissima ed ardita scienza teologica, che talvolta contraddice la tradizione cristiana. Angela non è colta: non ha letto libri; ma la sua scienza teologica è il fuoco interiore dell’esperienza mistica. La lucidità intellettuale del Memoriale è straordinaria: la capacità di superare i limiti della mente umana ci sconvolge.
Come tutti i grandi mistici, Angela sa che la sua esperienza non ha nulla a che fare con le leggi, i riti, le morali, le istituzioni del mondo umano: sa che i teologi — qui rappresentati dai frati francescani — non la amano e i moralisti la esecrano. Appena apre bocca, supera una frontiera, varca un limite, spezza una legge: penetra nel carcere con la stessa rapidità con cui sale nel cielo e discende nell’abisso; non potrà mai ritornare indietro, nella mediocre e consolante esistenza quotidiana.
Dio non ama tutti gli uomini allo stesso modo. Egli ne sceglie alcuni: «Sebbene offra a tutti il banchetto, tuttavia ne accoglie alcuni a una mensa speciale, vicino a Lui»; i figli prediletti da Dio, che mangiano con Lui in una stessa scodella, arrivano in alto attraverso grandi tribolazioni e dolori. Angela ha una coscienza doppia: da un lato conosce di essere una grande peccatrice; ha commesso e commette, ogni giorno, ogni secondo, terribili peccati. «Vedevo — dice — che ero degna dell’inferno»: «Vedevo che in me non c’era alcun bene»; «ero un niente, priva di qualsiasi bontà». Eppure sa di essere una prescelta da Dio: sente in se stessa il dono supremo, il Suo profumo. In lei accade una cosa paradossale: con l’aiuto di Dio, il peccato, appena compiuto, si rovescia miracolosamente in grazia. «Il Padre offre ai peccatori una grazia spirituale che non dà agli altri che rimasero innocenti e non si allontanarono». Più essi peccano, più desiderano di convertirsi pienamente.
Angela prova tutte le condizioni dell’esperienza mistica. Quando viene assalita da Dio, resta incerta: «Non sapevo se tutto ciò che facevo fosse gradito a Dio», sebbene, alla fine, fosse folgorata dall’idea di essere la sua figlia suprema. L’esperienza mistica è lenta, lentissima: lei sale verso Dio con fatica, dolore e peso. Offende la misura, non la tollera, vuole andare sempre più in là, ricevendo una gioia tanto grande da non poter sostenerla; e mentre offende la misura, la voce divina interviene a frenarla, moderarla, costringerla, perché Dio, sebbene sia perenne eccesso, non ama l’eccesso. «Se non fosse — commenta Angela — che si sa che Dio fa tutto con misura, avrei detto che quella gioia grandissima era senza misura».
Angela ha sempre davanti agli occhi l’incarnazione e la passione di Cristo. Mentre dorme e veglia, le appare il Crocifisso: egli le dice di guardare nelle sue piaghe; le mostra i peli strappati della barba, indica uno per uno i colpi della frusta sul corpo. Lei piange con lacrime tanto calde, che le bruciano la carne: e di nuovo Cristo le dice di guardare il legno, i chiodi, e di posare la bocca sulle sue piaghe; a lei sembra di bere il sangue che sgorga fresco dalla ferita. È il primo passo. Il corpo ferito di Cristo diventa, in Angela, l’origine di uno slancio spirituale che non finisce mai, sempre più in alto, sempre più lontano. Angela vuole soffrire come Cristo: vuole, per amor Suo, che tutte le proprie membra soffrano la morte; ma la sua morte deve essere più bassa e vile. Enumera, per ogni membro, una per una, le sofferenze, le fatiche e le tribolazioni, le parole dure e ingiuriose, che Gesù ha ricevuto. Poi gli guarda la gola: la claritas , lo splendore sublime della sua gola la esalta e la riempie di stupore.
Sale più in alto: in ciò che, essa dice, è sentire. Ascolta una voce: quella di Dio. Egli le dice: «Voglio giungere con questa voce, parlando con te, e non smetterò di parlare»: «Io ti ho rapita»: «io non ti lascerò mai, se tu mi amerai»; «amami, perché tu da me sei molto amata, molto più di quanto tu mi ami». E poi: «La Trinità è venuta in te, semplice come il sole e la luna».
La voce è un balsamo: ha una dolcezza sovrabbondante, fisica e spirituale, priva di ogni rapporto col corpo e piena di piacere erotico.
La voce di Dio è doppia: sia istantanea, folgorante, come è folgorante tutto ciò che viene da Dio; sia duratura, incessante, come è incessante tutto ciò che viene da Dio. Dietro la voce presente, c’è l’immensa voce nascosta: Dio ama nascondersi; e l’anima di Angela, e di ogni essere umano, non potrebbe sopportare la pienezza diretta dell’amore del Padre e del Figlio. Nel Memoriale , ci sono momenti di illuminazione totale, dove l’anima, il corpo, il mondo vengono illuminati dalla voce che si rivela. Supremi sono quei momenti in cui Dio scende nell’anima senza esser chiamato dall’anima, e mette in essa «un fuoco, un ardore, una soavità». È la superplenitudo : la comunione, l’unione perfetta; l’anima viene elevata e si fonde con Lui, come il fuoco con l’acqua e l’acqua col fuoco — due poli opposti diventano un solo polo. Angela, deificata, è immobile. La Trinità non compie più alcuna azione in lei: si riposa soavemente e totalmente, come Dio nell’ultimo giorno della creazione.
Angela non mangia: non vuol mangiare: ha un tale fuoco nel cuore da non sentire più stanchezza per le genuflessioni; sente parlare di Dio, e grida, grida. Angela, che conosce come pochi il Male Assoluto, dubita di essere posseduta da uno spirito malvagio, ingannata da un demonio. Urla: «Perché mi lasci?»; «Amore non conosciuto, perché mi lasci?». La gente dice che è indemoniata. I frati si vergognano di lei: non hanno torto, perché c’è un momento, nell’esperienza mistica, in cui l’anima è indemoniata, sebbene alla fine il demoniaco venga trascinato in cielo.
Non so se Angela leggesse i Vangeli: o se, come è più probabile, li conoscesse per trasmissione orale, in un mondo, come quello francescano, dove tutto era orale. Ha in mente una frase dei Vangeli: vuole leggerla nel messale, appunto come sta scritta; ma teme di essere posseduta dalla superbia. Sente che la sua esperienza mistica sta al di fuori e al di sopra del testo dei Vangeli; sa che essi sono una rivelazione di Dio, ma anche che ciò che lei sente nell’anima è un fuoco del Signore, più immediato e diretto di ciò che, dodici secoli prima, era stato trascritto dai quattro evangelisti. «I Vangeli possono dire appena qualcosa dell’essenza»: così Angela detta al frate sconosciuto, che non comprende.
Come Dionigi l’Aeropagita, Angela sente che ogni religione si perde e si annulla in Dio, che è l’Incomprensibile e l’Indescrivibile. La sua esperienza mistica è un fallimento: ma in questo sublime e tragico fallimento si rivela ciò che, per ogni uomo, è Dio.
Il Memoriale esprime questo fallimento. Chi lo redige è il confessore di Angela: un frate minore, che conosciamo soltanto col nome di «frate A.». Egli ripete di continuo che il suo testo è difettoso, perché esprime in modo incompleto e manchevole ciò che Angela dice. «Le parole di Angela erano molto più piene di quanto io avevo scritto»: «Io le scrivevo diminuite e svuotate»; «io capii e compresi che ero come un vaglio o setaccio, che non trattiene la farina sottile e pregiata, ma trattiene soltanto quella più grezza».
Quando il frate legge ad alta voce il proprio testo, Angela conferma: ciò che egli ha scritto è vero, ma secco, e pieno di mancanze, lacune e difetti. Le parole di Angela sono molto più piene, sebbene anch’esse siano una mancanza. Una mancanza di una mancanza: ecco quello che noi conosciamo di Dio.