giovedì 23 giugno 2016

Corriere 23.6.16
Putin
Da un lato crea il corpo di pretoriani dall’altro richiama i liberali al governo
di Paolo Valentino

MOSCA Se dovessimo giudicare dalla brillante esibizione di efficienza organizzativa, sicurezza di sé, sofisticazione diplomatica mista a spavalderia e capacità di attrarre il business internazionale offerte al Forum economico di San Pietroburgo, Vladimir Putin è apparso più saldo che mai al vertice della sua Russia.
Eppure, dietro l’innegabile stabilità di un leader che continua godere tassi di popolarità superiori all’80%, ansie e preoccupazioni traspaiono dalle sue più recenti scelte di politica interna.
Due decisioni soprattutto sembrano indicarlo. Sullo sfondo di un’economia in piena recessione, con il prodotto lordo contrattosi di oltre il 3% nell’ultimo anno e con lo sguardo rivolto alle elezioni della Duma del prossimo settembre, Putin si è mosso da un lato per rafforzare la sua verticale del potere, centrata sui cosiddetti siloviki , gli uomini della forza, dall’altro per mandare al Paese un segnale a suo modo riformista.
Creata per decreto presidenziale, la nuova Guardia Nazionale riporta sotto un singolo comando, che risponde direttamente al Cremlino, le diverse strutture di sicurezza. Al suo vertice è stato designato il più fedele dei siloviki putiniani, Viktor Zolotov, che chi scrive ricorda dietro a Boris Eltsin sopra il celebre carro armato nell’agosto 1991. Fra i compiti assegnati a questo vero e proprio esercito parallelo, che una volta a pieno regime potrà contare su 300 mila uomini, sono «la tutela dell’ordine pubblico, la lotta al terrorismo e all’estremismo, la protezione delle sedi del governo, l’assistenza al controllo dei confini, il contrasto al traffico d’armi e alla criminalità finanziaria».
«È chiaro che Putin voglia attrezzarsi contro eventuali movimenti di protesta, dietro i quali fra l’altro lui teme sempre regie esterne mirate a destabilizzarlo», spiega il politologo Stanislav Belkovsky. Un’analisi condivisa anche da Sergei Markov, ex deputato di Russia Unita, esperto di politica estera vicino al Cremlino, secondo il quale Putin «è convinto che ci saranno tentativi di dare una spallata al suo potere, orchestrati da Paesi stranieri, in occasione delle elezioni parlamentari e di quelle presidenziali del 2018». Da qui, la creazione della Guardia, «in grado di controllare e sopprimere ogni eventuale manipolazione del dissenso».
Più complessa la lettura di Gleb Pavlovski, ex consigliere politico di Putin nel suo primo mandato al Cremlino. Secondo lui, la formazione della Guardia è piuttosto un segnale discreto mandato all’interno, tanto alle varie strutture della forza quanto alle elites , che «negli ultimi tempi avevano manifestato una certa autonomia e alle quali Putin dice in questo modo che non ha alcuna intenzione di lasciare il potere». Fra i destinatari del messaggio, secondo Pavlovski, c’è anche l’esercito, sicuramente leale, «ma che sull’onda dei successi in Crimea e Siria, non ha mai avuto un ruolo politico così importante dai tempi di Zhukov negli Anni Cinquanta». Alleato e amico di Putin, l’attuale ministro della Difesa, Sergeij Shoygu, è in verità l’unico membro del governo russo che goda di grande popolarità.
Meno spettacolare, ma altrettanto significativa, è l’altra mossa decisa dal presidente russo, il richiamo in servizio fra i suoi consiglieri economici dell’ex ministro delle Finanze, Alexej Kudrin, a lungo considerato il campione dei riformatori. Nessuno sopravvaluta il suo ritorno. Ma, come spiega Sergei Markov, «per i loro rapporti personali, Kudrin è l’unico che può dire a Putin anche le verità più scomode».
Il problema è che quando gliele dice, almeno finora, non sembra servire a molto. Raccontano che in una recente riunione a porte chiuse del Consiglio economico, Kudrin abbia esposto una serie di proposte per rilanciare la crescita: riduzione della spesa pubblica, tagli al bilancio della Difesa, aumento dell’età pensionabile, concessioni geopolitiche all’Occidente per cercare di far abolire le sanzioni imposte dopo la crisi ucraina. «La sovranità della Russia non è negoziabile. Io la difenderò fino alla fine dei miei giorni», è stata la risposta di Putin, secondo i presenti, che evidentemente sono stati autorizzati a raccontarla.
«La nomina di Kudrin è soprattutto un fatto d’immagine — dice Pavlovski —, in vista delle elezioni Putin deve creare un blocco al vertice che mostri di operare con successo, perché in questo momento non ha molto da presentare al Paese. Per quanto suggestivo e simbolico, il concerto a Palmira di Valery Gergiev non può bastare. Il punto è che Putin è in conflitto tra valori e paure, tra la sua innata propensione alla stabilità, la sua paura del caos e la consapevolezza che le riforme siano necessarie, visto che è lui stesso a ripetere in continuazione che c’è la crisi e bisogna fare qualcosa».
Eppure, non si intravedono all’orizzonte vicino grandi sommovimenti sociali. Lo escludono anche gli esperti indipendenti del Centro Levada: «Il boom consumistico è finito — dice il direttore Lev Gudkov —. Non c’è più l’ottimismo del 2008, quando la crisi fu pesante, ma lo Stato aveva le risorse per compensare il calo dei livelli di vita. Nell’ultimo anno il potere d’acquisto è diminuito di un altro 10% e non è successo nulla. La gente si adatta e riduce i consumi». Markov parla di «nuova normalità». Putin ha un’altra definizione per questa capacità di sopportazione del popolo russo, quella che il suo filosofo di riferimento Lev Gumiliev, il figlio di Anna Akhamtova e Nikolai Gumiliev, chiamava passionarnost . La forza di una nazione, ha detto una volta, «non si misura dal suo potenziale economico, ma dalla sua forza di volontà, dalla sua energia interna», la passionarietà appunto.
È un cemento formidabile, ma che sia sufficiente è tutto da vedere. Da buon giocatore d’azzardo, Vladimir Putin spera che la storia gli regali altre carte da giocare, come quella della Siria lo scorso autunno, per rinsaldare il patto con i russi, anche se sono più poveri. Il piano, secondo Pavlovski, è chiaro: «Essere rieletto nel 2018 e rimanere al Cremlino fino al 2024». Ma fino ad allora, gli imprevisti possono essere tanti. Non è di buon auspicio, per esempio, l’eventuale divieto agli atleti russi di gareggiare alle Olimpiadi: «Tocca lo sport come veicolo dell’orgoglio nazionale, uno dei pilastri del sistema». Poi ci sono le elites , non solo gli oligarchi, oggi schierate fedeli e obbedienti dietro lo Zar, ma pronte come sempre nella Storia russa a coglierne ogni segno di debolezza. «In certi ambienti, parlare sia pure in linea teorica di un dopo Putin non è più un tabù». Basterà la Guardia Nazionale a mettere a tacere ogni tentazione?