Corriere 22.6.16
Palazzo Chigi costretto a ricalibrare la strategia
di Massimo Franco
Il
nervosismo che si capta nella cerchia renziana e tra gli alleati di
governo, a cominciare dal Nuovo centrodestra, non è solo una conseguenza
del risultato dei ballottaggi di domenica. Dipende anche dalla
sensazione che Matteo Renzi stia ancora cercando il modo per arginare i
contraccolpi del flop elettorale. La Direzione convocata per il 23
giugno sarà sovrastata dal referendum inglese sull’uscita o meno della
Gran Bretagna dall’Ue. È condannata dunque a un rilievo secondario. I
timori del premier, tuttavia, non si appuntano sull’offensiva scontata
della minoranza interna.
Il punto interrogativo riguarda gli
effetti a catena che gli errori compiuti alle Amministrative possono
produrre sul referendum per le riforme istituzionali di ottobre.
L’inquietudine degli alleati centristi rivela la consapevolezza che
l’asse con Palazzo Chigi faticherà a proiettarsi al di fuori delle aule
parlamentari e dei ministeri: lo certifica l’esito del voto. A breve
scadenza, il problema è scongiurare spinte centrifughe rispetto a una
segreteria indebolita: una «fuga da Renzi» in termini di lealtà e di
adesione convinta a un referendum decisivo per il destino del governo.
I
sondaggi su «sì» e «no» accreditano una crescita del secondo; e dunque
una bocciatura delle riforme che implicherebbe le dimissioni del premier
. In realtà, la partita rimane apertissima, e Palazzo Chigi ha ancora
buone possibilità di vincere la sfida. La strategia, tuttavia, andrà
ricalibrata. Mentre finora il sostegno a Renzi partiva anche dalla
consapevolezza che una sua caduta avrebbe portato a elezioni anticipate,
ora lo sbocco appare meno scontato. E questo promette di complicare la
vita al segretario-premier: anche perché cresce la voglia di
commissariarlo.
È stata fatta filtrare la disponibilità a cambiare
i vicesegretari lasciando intatto il doppio incarico. Ma l’ipotesi si
scontra con resistenze vistose. «Non basta», avverte il governatore
della Toscana, Enrico Rossi, indicato come uno dei prescelti; e propone
un «organo collegiale» che somiglia a un cordone politico stretto
intorno a Renzi per condizionalo. È impensabile che il segretario
accetti: ha avallato la tesi della vittoria del M5S nel segno del
cambiamento non per frenare ma per accelerare la resa dei conti interna.
Bisogna vedere con quali rapporti di forza.
Le premesse della
riforma del Senato, così come dell’Italicum, rischiano di tornare in
discussione. Il nuovismo di Beppe Grillo oscura la «rottamazione»
renziana, termine sgradevole perché parla di persone. Come capacità di
spazzare via le nomenklature, il M5S è più radicale di un Renzi accusato
di allearsi con Verdini. L’antidoto potrebbe essere un cambio in corsa
dell’Italicum per rendere più difficile una vittoria grillina a livello
nazionale. Ma suonerebbe come una scorrettezza. E forse nemmeno
basterebbe.