martedì 21 giugno 2016

Corriere 21.6.16
Il disincanto di una città «strappata»
La Capitale è preda di particolarismi corporativi e di quartieri dalle identità spesso inconciliabili
di Goffredo Buccini

Le buche, la spazzatura, i bus, i burocrati, il debito… E poi cos’altro? C’è solo un fattore che può alleviare il carico di sfide con cui Virginia Raggi dovrà gravare i romani nella dura realtà quotidiana di governo. Ma va ricostruito, rammendato con pazienza come un vessillo strappato: è il senso di comunità. Prima ancora d’insediarsi in Campidoglio la giovane campionessa pentastellata mostra di averlo capito, tanto da fare appello «a tutte le forze politiche» e ricorrere da subito alla più trasversale delle alleanze, quella di genere: «Sono il primo sindaco donna di Roma quando le pari opportunità sono una chimera». Diciamolo: il monte dei guai romani è così alto che richiederà, al meglio, tempi medio-lunghi solo per un inizio di scalata. Qualcosa di molto diverso dalla miracolistica narrazione grillina, di assai lontano dalla contrapposizione tra «noi onesti» e «voi ladri» che ha intossicato queste ultime settimane al cianuro.
La salita e le fatiche conseguenti saranno sopportabili soltanto se si ricreerà un sentimento solidale, l’idea di uno sforzo condiviso che non esiga incassi immediati, qualcosa di scomparso del tutto in una città che, storicamente, è confederazione di particolarismi corporativi e quartieri dalle identità inconciliabili. La campagna elettorale appena finita ha soltanto enfatizzato fratture preesistenti tra i cittadini, visibili negli sguardi ai semafori, nelle file ai pubblici uffici, nel tutti contro tutti che ci accompagna, ringhioso come è stata questa lunga corsa al voto, tra insulti e contumelie (gira su YouTube un video di Matteo Orfini, umiliato al mercato del quartiere Giardinetti, che narra in due minuti lo scollamento tra periferie disagiate e sinistra storica ma anche la rabbia che cova sotto ogni sampietrino in quelle che, se ci distraiamo, saranno le banlieue di domani).
Non è sempre andata così. Vuoi per effetto del primo Giubileo (rutelliano), dei soldi e delle opere connesse; vuoi per la festa del cinema e le star sul tappeto rosso; vuoi per il Modello Roma che sarà anche stato «Sistema Bettini» ma non ha mai dato scandalo giudiziario finché ha retto; vuoi per quel civismo che spingeva il Campidoglio di Walter Veltroni a lenire dolori antichi (l’incontro con la famiglia Mattei, una postura bipartisan sin dalla toponomastica...): per uno strano miscuglio di interessi e congiunture, idee e pulsioni, c’è stato un tempo abbastanza recente nel quale molti romani avevano la sensazione di trovarsi sulla stessa barca, magari divisi politicamente ma legati da un destino collettivo dove neppure agli ultimi era negato uno strapuntino.
Gianni Alemanno, che da sindaco s’è portato appresso risentimenti (in parte persino comprensibili) d’antico leaderino del Fronte della Gioventù e ha chiuso quel tempo traumaticamente, attribuiva al «mago Veltroni» l’illusione di mostrare una Roma migliore di come fosse e a noi giornalisti la colpa di crederci. Pur faziosa, l’immagine qualcosa coglie: perché solo un’illusione può esorcizzare il maligno ge nius loci romano nascosto nei sonetti del Belli ( io so’ io/ e voi nun siete un c… ), sperando che l’esorcismo duri abbastanza da lasciarci cambiare la realtà, governandola infine.
La destra entra invece in Campidoglio nel 2008 a braccia tese nel saluto fascista, sulle ali di un incubo — la terribile morte di Giovanna Reggiani, massacrata da un romeno — con una campagna xenofoba e securitaria. Roma sta cambiando, l’immigrazione sta per diventare una bomba, poi si tradurrà in un affarone con Mafia Capitale che risucchia pure grossi pezzi del Pd e che, per l’inadeguatezza di Ignazio Marino, verrà messa in conto più ai dem che al milieu fascio-mafioso da cui è generata. Il resto sono errori, orrori e rancori con cui la Raggi dovrà fare i conti. Il «noi» e il «voi» che contrappongono la politica, grillini contro pd, ma anche romani contro migranti, vecchie categorie contro newco mer , tassisti contro Uber, utenti contro dipendenti pubblici, periferie come Corcolle o Tor Sapienza (dove cresce CasaPound) contro Centro storico e Parioli (ultimi municipi paradossalmente «rossi»).
Così, spaventati, stanchi e incattiviti, i romani aspettano. Da quanto del divisivo radicalismo grillino (e dunque del suo stesso Dna) saprà rinunciare in cambio di buonsenso e pragmatismo «pizzarottiani» dipenderà, forse, la capacità della Raggi di restituire loro la famosa «illusione»: ciò che in tutte le altre città civili si chiama convivenza.