martedì 21 giugno 2016

Corriere 21.6.16
La «signora no» apre al dialogo: Olimpiadi e Metro vanno ripensate
di Ernesto Menicucci

ROMA Le Olimpiadi, lo stadio della Roma, la Metro C. In campagna elettorale, Virginia Raggi è stata accusata dal «rivale» Roberto Giachetti, dal Pd e da certi ambienti imprenditoriali della Capitale di essere una «signora no». No ai Giochi, no al progetto di Tor di Valle della società giallorossa, no al prolungamento della terza linea della metropolitana.
E lei, su questi tre argomenti, è sempre stata vaga. Le Olimpiadi «non sono una priorità: i romani mi chiedono altro». Lo stadio «va fatto nel rispetto delle regole: vale per la Roma e varrebbe anche per un eventuale impianto della Lazio». Sulla Metro C «va fatta una riflessione». In realtà, di questi tre aspetti — che insieme alla gestione dell’ordinario (buche, trasporti, rifiuti) rappresenteranno la «cifra» dell’azione di Raggi al Campidoglio — la neosindaca ha parlato spesso, nelle riunioni col suo staff e in particolare con l’assessore «in pectore» all’Urbanistica, Paolo Berdini, docente a Tor Vergata, grande oppositore del Piano Regolatore firmato da Walter Veltroni («il peggior sindaco dal punto di vista urbanistico», lo bolla) nel 2008.
Cosa pensa, davvero, la Raggi sui tre progetti? Sulla Metro C va «aperta una discussione». Obiettivo numero uno, naturalmente, è arrivare a San Giovanni. E da lì? «È impensabile avere una linea che attraversa il centro storico, passa al Colosseo, e per due chilometri non fa uno stop». L’idea, allora, visti i recenti ritrovamenti archeologici (una caserma romana a nove metri di profondità), potrebbe essere quello di cambiare percorso. Per andare dove? «Ci sono tanti quadranti...», dice Berdini. Verso ovest, ad esempio.
Sulle Olimpiadi, il nodo è il Villaggio per gli atleti a Tor Vergata. Berdini non è convinto: «E non per chi costruirebbe: i terreni sono del Demanio, il Comune non mette bocca». E perché, allora? Quell’area, secondo Raggi e il futuro assessore, serve allo sviluppo futuro dell’Università e del Policlinico, per dare a Roma una vocazione da «Città degli Studi», quella che sognava l’urbanista Italo Insolera, che a sua volta riprendeva un’idea di Quintino Sella. Eppure, spostare il villaggio olimpico (17 mila appartamenti, che poi dovrebbero diventare 6 mila alloggi per studenti e per i familiari dei pazienti dell’ospedale) non è così semplice. Ma il piano della Raggi è cercare una soluzione alternativa. Per cambiare il progetto olimpico, in effetti, c’è anche qualche margine: il secondo step del dossier sulla candidatura, va inviato al Cio ad ottobre. Per questo, finora, Raggi ha sempre detto che le Olimpiadi «non sono una priorità»: in questi mesi vuole prima dare risposte sulle emergenze cittadine.
Ultimo, ma non ultimo, lo stadio della Roma. Che vuol dire «farlo dentro le regole», se c’è la legge sugli stadi? Che, secondo la sindaca, il progetto (dei privati) deborda dai parametri. E approvarlo così com’è rappresenterebbe un precedente pericoloso. Anche per lo stadio (ipotetico) della Lazio.