Corriere 21.6.16
L’età del nuovo travolgente (e qualche paura di troppo)
di Venanzio Postiglione
Ogni
elezione ha la sua immagine, che poi diventa un simbolo. Le lacrime
trattenute di Fassino nella notte torinese non sono soltanto la
fotografia di un sindaco galantuomo che si sentiva vincitore e si
ritrova sconfitto. Sono anche lo specchio di una classe dirigente
costretta a lasciare il palcoscenico per l’arrivo di attori che saranno
bravi o meno bravi, brillanti o inesperti, ma con un marchio che nel
2016 fa la differenza: sono nuovi. O appaiono nuovi. Nuovi come Raggi e
Appendino, capaci di travolgere le cautele della città eterna e gli
antichi equilibri sabaudi .
N uovi come Sala, il manager di Expo
che negli ultimi giorni si è allontanato da Renzi, ha abbracciato la
sinistra arancione e soprattutto (era ora) ha parlato più alla città del
futuro che agli alchimisti della politica. Nuovi come il vincitore di
Varese Davide Galimberti (sembra un dettaglio, non lo è), che dopo 23
anni conquista la culla della Lega, dove paradossalmente il Carroccio si
è rivelato il «sistema» da abbattere più che il modello da esportare.
I
maghi dei flussi hanno fatto fatica. Ancora. Come era successo con la
Lega delle origini, con il ciclone di Berlusconi, con la non vittoria di
Bersani. Si sono persi il trionfo di Raggi, che doveva vincere e invece
ha stravinto, così come la rimonta di Appendino, che era partita per
fare testimonianza, così come la forza di de Magistris, che a Napoli non
conosce rivali (aiutato dagli stessi rivali). E i timori di
«incompetenza» sono fondati e infondati allo stesso tempo. Fondati
perché chi comincia spesso non ha cultura politica, conosce poco la
macchina, trascura il valore delle alleanze quando servono per afferrare
i risultati. Infondati perché la storia (e la bellezza) delle
leadership vivono di strappi e di sorprese, per cui si può anche non
nascere dirigenti come nel vecchio Pci o nelle correnti della Dc ma
provare a diventarlo. Via via. Nessuno dubita che sia meglio essere
competenti sempre e da subito. Ma il nuovismo come salvezza e il
nuovismo come barbarie sono retoriche speculari e alla fine ingannevoli.
I pensatori greci ci hanno ampiamente spiegato (2.500 anni fa, non alla
vigilia dei ballottaggi) che il sale della democrazia è la scelta degli
elettori prima ancora che il profilo degli eletti. Altrimenti avremmo
una oligarchia che si auto-nomina all’infinito: perché sicuramente più
esperta, visto che è già in carica.
La sconfitta di Piero Fassino,
ex ministro, ex leader della sinistra, ex sindaco di una città in
salute, è il paradigma del cambio di stagione. Politico e generazionale.
Più di Giachetti colpito e travolto. Perché a Roma Raggi vince perché
doveva vincere, perché le macerie stesse chiamano (pretendono) una
piccola rivoluzione. Ma a Torino, senza la mafia, senza i detriti,
Appendino ha la meglio per l’alleanza di fatto nelle urne tra Cinque
Stelle e centrodestra ma soprattutto per il clima politico generale, che
l’ha sollevata e sospinta come fosse predestinata alla vittoria. A
prescindere dal primo turno che la vedeva lontana, dal programma che
resta fumoso e dalla squadra che è proprio da inventare. Il messaggio di
rottura più il salto anagrafico sono il tracciato dei nostri anni: ma
questo Renzi lo sa bene, perché rivede il suo corredo genetico di leader
giovane e rottamatore.
Dice tante cose, il voto dei sindaci. E
non solo che il centrosinistra guidava 20 capoluoghi e ne ha conservati
soltanto 8. Dice molto sull’essenza stessa dei tre schieramenti. I
Cinque Stelle sono più forti ma anche più borghesi: le prime parole di
Raggi e Appendino segnano già il passaggio dalle fiamme della
distruzione all’idea di governabilità. Tutta da verificare. Il
centrodestra può ripartire dal modello ambrosiano di Parisi, il vero
outsider, lo sconfitto di successo che ha riportato l’alleanza sui
binari moderati e ha frenato le ambizioni della Lega. Ma anche il
centrosinistra, nel luogo simbolo dove ha vinto, a Milano, ha un aspetto
molto diverso dalle apparenze. Se al primo turno ha combattuto il Beppe
Sala candidato di Renzi e del partito della Nazione, al secondo turno è
apparso il Beppe Sala federatore, sostenuto dai Radicali ma anche dalla
sinistra-sinistra, amico dei grattacieli ma pure di Gherardo Colombo.
Un volto civico e non politico (nuovo, appunto) e uno schieramento
largo. Quasi un Ulivo milanese, se il termine non fosse maledettamente
fuori moda.