Corriere 21.6.16
Pier Luigi Bersani
«Amareggiato come per i 101 Discutiamo anche del governo»
intervista di Monica Guerzoni
ROMA Stato d’animo, Pier Luigi Bersani?
«Profonda amarezza».
Renzi ha preso una bella batosta.
«Qualche
gufologo imbecille può pensare che io sia contento. Invece per me è una
giornata amara, più o meno come quella dei 101».
La sconfitta brucia come il tradimento del 2013?
«Sì, non possiamo buttare via un patrimonio. E poi insomma, il Pd è la mia vita».
Darà una mano?
«Dobbiamo
trovare la forza di reagire, reagire, reagire, guardando in faccia la
realtà. Io vedo due dati. Al primo turno il Pd è sotto fra i quattro e i
sei punti rispetto al 2011, nel secondo viene fuori che su 143
ballottaggi noi avevamo 90 sindaci, ora ne abbiamo 45. Se qualcuno pensa
di edulcorare questo dato, vuol dire che Dio lo sta accecando. E se
vogliamo reagire non si parli per favore di voto locale e di fisionomie
dei candidati».
Per il Nazareno «hanno vinto le ragazze del M5S».
«Appunto. Donne, giovani... E spero che quelle uscite sulle insufficienti dosi di renzismo siano state solo battute».
Non è vero che Renzi ha rottamato troppo poco?
«Ovunque
sono stato ho percepito disagio e una difficoltà a muovere il nostro
elettorato. Ho cercato disperatamente di segnalare il problema e ora
faccio un appello ai candidati, ai militanti, ai dirigenti. Dicano in
sincerità quello che hanno trovato sul campo, perché di conformismo si
può morire. Mi limito a invocare una riflessione onesta che ci metta in
condizioni di reagire e dico i tre terreni di questa riflessione».
Il primo?
«Spesso
la nostra narrazione non risulta al Paese e le carezze che ci fa l’
establishment , compresa parte dell’informazione, ci fanno velo sulla
realtà. Il Pd chieda, citando Vasco, “toglimi di dosso quelle mani che
mi dai” perché ho bisogno di vedere. L’incertezza prevale, la forbice
sociale si allarga e c’è un distacco di tutte le periferie,
territoriali, sociali, culturali. Il secondo tema è il disarmo di una
sinistra di combattimento sui temi sociali».
In compenso c’è Verdini...
«Forse,
nella testa di qualcuno, questo disarmo della sinistra lo si può
compensare surrogando la destra. Ma come si è visto la destra ha una sua
strategia, non viene da noi. C’è un pezzo di Italia a cui sembriamo
forti coi deboli e deboli coi forti, garruli sui voucher e muti sui
banchieri che rovinano i risparmiatori. Troppo sulle soluzioni vere o
presunte e poco sui problemi, che lasciamo agli altri».
La crisi del renzismo investe anche il governo?
«Sì,
bisogna accettare una discussione sul profilo del governo. Ed ecco il
terzo campo, la scomparsa del soggetto politico. L’agenda la fa il
governo con i banchetti a sostegno e si pensa al territorio come un
luogo dove andare a spiegare, non dove ascoltare e imparare. Una
pedagogia percepita come arroganza e isolamento».
Renzi arrogante e isolato?
«Non
è un caso se vinciamo dove teniamo, anche se in modo precario, un certo
campo di centrosinistra. Sala avrebbe mai vinto a Milano se non ci
fosse stato, seppure lieve, un respiro di Ulivo?».
Aveva ragione lei quando invitò il premier a vedere «la mucca in corridoio»?
«Altro
che mucca, un militante mi ha detto di aver visto un toro. Se esagero
mi si corregga, ma non si dica che non c’è un problema, perché il Pd è
un po’ anche mio e delle migliaia di militanti che si sono disamorati.
Io non ho fatto altro che girare per portare i nostri a votare e fa
rabbia sentirsi dare del gufo, del sabotatore».
Teme il lanciafiamme?
«Quella
frase di Renzi c’è costata cara. L’altra settimana sono stato
interrotto dai militanti che gridavano, perché si erano sentiti offesi».
Renzi dovrebbe dirigere la fiamma sulla minoranza, o sui suoi fedelissimi?
«Qui
si rischia di far scomparire il noi e questa è l’ultima occasione per
correggere il tiro, non possiamo permetterci di perderla. Io davvero non
lo so se abbiamo più tempo».
L’Italicum va cambiato?
«Io
non l’ho votato. Tutte le proposte che pretendono di semplificare
all’eccesso il sistema attorno a poche figure favoriscono la piega
demagogica e regressiva».
Il Pd spiana la via a Grillo?
«Di
fronte a un sommovimento profondo come quello europeo e italiano è bene
ricordarsi l’insegnamento di Aldo Moro. Essere inclusivi, dandosi
istituzioni e meccanismi elettorali che abbiano gradi di flessibilità e
non di rigidità. Semplificare è pericoloso, l’Italicum va cambiato».
Il M5S è pronto per governare il Paese?
«Hanno
certamente aspetti più che criticabili. Ambiguità, demagogia,
integralismo, ma non mi metto coi poco di buono per fermarli, preferisco
sfidarli con un riformismo radicale. Detto questo, stanno facendo uno
sforzo per passare dall’essere un partito personale a un collettivo e
radicarsi nei territori. Faranno fatica, ma non si può non vedere il
cambiamento, mentre il Pd rischia di fare il percorso inverso».
Chiederà al premier di lasciare la segreteria?
«Giovedì
la minoranza si riunirà e ragionerà. Io vorrei solo ricordare che
questa separazione tra segretario e premier, che a me pare una premessa
per lavorare, fu voluta da Renzi col mio consenso. Non vedo quindi
perché ci si scandalizza se siamo noi a chiederlo».
Ha cambiato idea sul sì al referendum?
«Avendo
votato la riforma, non credo di dover prendere lezioni di coerenza. Ma
se la conduzione fosse, nei toni e nelle forme, quella che ho visto fin
qui, in quella campagna non mi vedranno. Non si può brandire così la
Costituzione» .