Corriere 19.6.16
Le idee di Merloni che ci mancano
di Sergio Bocconi e Dario Di Vico
Vittorio
Merloni, morto ieri a Fabriano a 83 anni, è stato il campione con la
sua Indesit delle nostre multinazionali tascabili, un modello ancora
vivace, uno dei pochi in grado di resistere alla Grande Crisi. Un
interprete del migliore capitalismo familiare.
Fra qualche giorno
sarà presentato a Milano un libro che lo definisce un «imprenditore
olivettiano». Ed è forse questa un’immagine particolarmente adatta per
descrivere Vittorio Merloni, morto ieri a Fabriano a 83 anni dopo una
lunga malattia. Ex presidente di Confindustria, è stato il re degli
elettrodomestici italiani, costruttore di una multinazionale che fra
Russia, Turchia e Cina ha conquistato le prime posizioni fra i big
globali del «bianco», interprete di una governance che amava definire
«family public company», protagonista di un capitalismo innovatore e
responsabile, non tayloristico e aperto al «sociale» che ha contribuito a
far crescere un’Italia industriale studiata anche negli Stati Uniti.
Oggi gli operai formeranno il picchetto d’onore per l’ultimo saluto
nello stabilimento di Fabriano. I funerali si terranno domani
pomeriggio.
Nella storia di Vittorio Merloni, sposato con Franca
Carloni e padre di Maria Paola, Andrea, Antonella e Aristide, si può
leggere in effetti una pagina significativa della imprenditoria e della
classe dirigente del nostro Paese. Di una élite che lui stesso ha
contribuito a formare diventando fra i principali sponsor dell’Istao,
l’Istituto Adriano Olivetti, che dagli anni Sessanta svolge ad Ancona
attività di formazione e ricerca economico-aziendale.
Una storia
che presenta un mix di elementi tipici e atipici del nostro capitalismo.
Vittorio e i suoi due fratelli, Francesco e Antonio, hanno cominciato a
lavorare nell’azienda fondata nel 1930 dal padre Aristide,
originariamente fabbrica di bilance industriali poi entrata negli
elettrodomestici con il marchio Ariston. Retribuiti come impiegati: gli
utili si reinvestono. Alla morte del capostipite, nel 1970, ciò che è
diventato un gruppo viene diviso in tre: a Vittorio va la guida della
Merloni elettrodomestici, a Francesco la divisione termosanitari e ad
Antonio quella meccanica.
Lo sviluppo della Merloni ha luogo anche
con acquisizioni che la portano all’estero: in Italia la Indesit, in
Francia Scholtés, Hotpoint in Gran Bretagna e Stinol in Russia. Il
gruppo diventa fra i primi produttori del «bianco» in Europa e Vittorio,
nel frattempo, gioca altre due carte decisive. Dall’80 all’84 è
presidente di Confindustria (dopo Guido Carli) e nel corso del suo
mandato viene disdetto l’accordo sul punto unico di contingenza, primo
passo verso l’abolizione della scala mobile. Con una scelta inconsueta
in un’impresa familiare, nel 1996 affida i poteri a un manager esterno,
Francesco Caio. È il passo verso la «family public company», che non
prevede i figli in azienda. E quando tre anni dopo Caio va nel mondo
Internet, in Merloni approda Andrea Guerra. L’amministratore delegato
lascia nel 2004 per Luxottica. Al suo posto sale Marco Milani e Vittorio
Merloni cambia il brand in Indesit company. Meno family.
Eclettico
e «visionario», tanto è vero che nel suo discorso d’insediamento a
presidente di Confindustria (ripreso nel volume edito da il Mulino e
presentato da Istao e Politecnico) definisce «la capacità di introdurre
innovazioni» il modo per crescere e migliorare il benessere, esplora
anzitempo frontiere geografiche e imprenditoriali. Così nel 1975 va in
Cina con Giovanni Agnelli e Leopoldo Pirelli e incontra Deng Xiaoping. E
Nel Duemila disegna un futuro per l’azienda costruito su un network
energia-finanza-web («tutto in rete e lavatrici in affitto») con l’addio
agli elettrodomestici-commodity. È a questa figura d’imprenditore che
ieri l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha riconosciuto
«apertura e lungimiranza di idee» e la presidente della Camera Laura
Boldrini ha rivolto parole di stima («lascia una traccia profonda
nell’industria del Paese»). Ed è alla figura legata al territorio e alle
responsabilità sociali che la Cgil ha destinato il messaggio di
cordoglio: «Con lui scompare un grande imprenditore».
Ma arrivano
crisi e malattia. Così Vittorio, al quale i dipendenti nel 2003 per i 70
anni regalano la Ferrari di Schumacher (senza motore), lascia
progressivamente. E con lui arretra la famiglia, che ha avuto nel gruppo
ruolo ma non di gestione. Nel 2014 infine la scelta di vendere
all’americana Whirlpool. Una decisione sofferta. Che ha lasciato un
segno nel Paese.