Corriere 19.6.16
L’indignazione dello scrittore Hanif Kureishi
«Ci si vergognava a pensare certe cose. Ora ci si permette di dirle in pubblico»
di Stefano Montefiori
PARIGI
«L’assassinio di Jo Cox, che aveva dedicato la sua vita ad aiutare i
rifugiati, che si trovava nello Yorkshire tra molti musulmani ma è stata
ammazzata da un uomo legato all’estrema destra, ci dà l’opportunità di
denunciare quanto il discorso pubblico sia caduto in basso in occasione
del referendum sulla Ue». Uno dei migliori scrittori britannici viventi,
Hanif Kureishi, nato 61 anni fa a Londra da padre pachistano e madre
inglese, incolpa «indirettamente» l’imbarbarimento del dibattito
politico nel Regno Unito (e non solo) per la morte della deputata
laburista.
La questione dell’Europa ha fatto saltare i freni?
«Ormai
in Inghilterra le persone si sentono libere di dire in pubblico cose
che fino a qualche anno fa avrebbero avuto vergogna a pensare. Non si
parla che di immigrati, con toni violenti e triviali, e questo fa
assumere un tono quasi fascista al dibattito, sempre più angusto. Invece
andrebbe allargato ad altri temi».
Per esempio?
«Dovremmo
discutere davvero della globalizzazione, del nomadismo dei lavoratori e
non, del neoliberalismo che venne introdotto in Gran Bretagna da
Margaret Thatcher con effetti disastrosi sugli alloggi, la scuola, la
sanità, i diritti dei lavoratori. E poi dovremmo parlare di super
capitalismo, della vendita di intere zone di Londra a miliardari cinesi,
arabi, americani, russi. Ma invece di una conversazione ampia e onesta
su che cosa sta accadendo alla Gran Bretagna, ci concentriamo solo su
una discussione ignorante sugli immigrati».
Qual è la sua opinione sul loro ruolo?
«Bisognerebbe
ricordare che la ricchezza della Gran Bretagna si è costruita anche sul
colonialismo, e poi sugli immigrati dai Caraibi e dal Pakistan e poi
dal Bangladesh e così via. Il grande successo di Londra si fonda su
armate di immigrati venuti da tutto il mondo. Se uno è sveglio di notte
vede questi eserciti di persone che puliscono gli uffici, mandano avanti
i bar e i ristoranti e che fanno funzionare la città. Tutta gente
venuta da fuori».
Il discorso pubblico involgarito è anche il frutto della lotta al politicamente corretto, molto in voga anche in Francia?
«Liberarsi
dal politicamente corretto non dovrebbe significare sentirsi liberi di
dire qualsiasi idiozia o di attaccare con violenza verbale un gruppo
razziale. Questa non è libertà. Invece siamo alla costruzione e
individuazione come bersaglio di un gruppo mitico, come gli ebrei, i
musulmani, i neri o chiunque, che diventano i capri espiatori delle
proprie difficoltà. Il nuovo politicamente corretto è il ritorno al
pensiero dominante degli anni Trenta, quando era comune ogni giorno
incolpare gli ebrei per qualsiasi problema. Quella era l’opinione
standard. I circoli intellettuali anti politicamente corretto che oggi
se la prendono con i musulmani smettono di pensare, e questo è un
tradimento della loro funzione. Fa dispiacere in particolare in Francia,
il Paese dell’Illuminismo e di pensatori come Foucault, Lacan o
Derrida. I diritti per cui abbiamo combattuto in Europa, il diritto
delle minoranze, delle donne, dei lavoratori, l’uguaglianza, sono
centrali per una società liberale. Se molliamo su questo molliamo su
tutto».
Alla fine, nel Regno Unito per la Brexit, come in Francia
con la campagna per le prossime presidenziali che si avvicina, la
sensazione è che il nodo cruciale del discorso politico non sia
l’economia, ma la questione dei valori e dell’identità culturale.
«È
così. Il punto oggi è l’identità, la battaglia politica si svolge sulle
questioni legate ai valori, al sesso. E infatti, attacchi terroristici
islamici ai luoghi di piacere, dal Bataclan di Parigi al Pulse di
Orlando. Non vedo come la destra di oggi possa accettare una Europa
multirazziale e multiculturale, ma la verità è che abbiamo già una
Europa multirazziale e multiculturale, e dobbiamo viverci. Londra è un
luogo davvero cosmopolita, oggi al parco ero l’unico a parlare inglese…
In ogni caso non si può tornare indietro. Possiamo discutere se l’anno
prossimo lasceremo entrare 80 mila o 20 mila immigrati, ma comunque
l’identità culturale europea è gia cambiata. La questione è come andare
avanti, come vediamo noi stessi nel futuro, come possiamo fare
funzionare una società integrata».
È ottimista?
«L’imbarbarimento della destra e la crisi ideale della sinistra non lasciano ben sperare».