venerdì 17 giugno 2016

Corriere 17.6.16
La Bce e i timori per l’Italia
di Danilo Taino

Le preoccupazioni di Draghi di fronte alla possibile Brexit non sono generiche. Il presidente della Banca centrale europea sa dove la speculazione attaccherebbe se i mercati entrassero in un circuito di incertezza e di mancanza di leadership: nei Paesi ad alto debito e con il sistema bancario non in sicurezza. Ecco gli strumenti messi in campo per proteggere i Paesi a rischio come l’Italia.

BERLINO Le preoccupazioni di Mario Draghi di fronte alla possibile Brexit, giovedì prossimo, non sono affatto generiche. Il presidente della Banca centrale europea sa dove la speculazione attaccherebbe se i mercati entrassero in un circuito di incertezza e di mancanza di leadership: nei Paesi ad alto debito e con il sistema bancario non ancora in sicurezza. Le cadute di Borsa di questi giorni sono indicative. Ancora ieri, i titoli di Stato decennali portoghesi registravano un rendimento del 3,45%, in salita netta dall’1,57% del marzo 2015. Lo spread sui titoli spagnoli è ai massimi dallo scorso luglio. Quelli italiani ieri rendevano l’1,56%, con uno spread rispetto al Bund tedesco ai massimi da quasi un anno. Anche la Borsa di Milano in questi giorni è spesso la peggiore, trascinata verso il basso dai titoli bancari.
Indicativo per capire i punti di analisi di fronte a Draghi è anche il Bollettino economico della Bce pubblicato ieri. Parlando delle raccomandazioni date lo scorso 18 maggio dalla Commissione europea sul rispetto del patto di Stabilità da parte dell’Italia, la banca centrale dice che «il giudizio sull’osservanza della regola del debito non considera le precedenti mancanze in fatto di risanamento del bilancio come un fattore aggravante o non quantifica l’impatto di fattori rilevanti in un modo esauriente tale da assicurare che ogni discrepanza rispetto alla regola del debito sia spiegata pienamente». In altri termini, alla Bce non sembra che la flessibilità di bilancio accordata da Bruxelles a Roma sia del tutto giustificata e lasci tranquilli.
Cosa potrebbe succedere, dunque, venerdì prossimo sui mercati se la sera prima si stabilisse che i britannici hanno deciso di lasciare la Ue? L’allarme è forte ovunque, al punto che mercoledì la Fed americana ha motivato la scelta di non alzare i tassi d’interesse anche citando i rischi posti da una possibile Brexit. In questa cornice di stress finanziario in atto e di possibile caos sui mercati, una leadership della Ue per ora non si vede. Un «whatever it takes» europeo, sul modello di quanto disse Draghi nel 2012, per affermare che l’Europa farà tutto quel che deve per evitare un disastro di mercato (e di politica in prospettiva) sarebbe forse la garanzia migliore. Per esempio: dare un chiaro mandato alla Bce per avvertire i mercati che la Banca centrale userà ogni mezzo per impedire la distruzione dell’eurozona. Il problema è che un atto di leadership del genere non c’è.
Cosa può fare, dunque, Draghi per cercare di evitare che uno choc esterno, la Brexit, colpisca drammaticamente i punti più deboli dell’eurozona, in particolare l’Italia? La Bce e l’area euro non mancano di strumenti e di reti di sicurezza per affrontare la crisi di mercato di un Paese o delle sue banche. Gli acquisti di titoli di Stato per ottanta miliardi al mese come parte della politica monetaria sono anche un elemento di stabilizzazione in caso di crisi. L’unione bancaria, per quanto incompleta, permette di affrontare situazioni drammatiche degli istituti di credito attraverso il Meccanismo di risoluzione unico che dovrebbe essere in grado di gestire in modo ordinato i fallimenti bancari. Non è però scontato che di fronte a una scossa violenta e profonda questi meccanismi siano sufficienti. Potrebbe servire altro, più mirato.
Un’altra ipotesi, sempre in campo, è quella di chiedere, da parte della Bce, a Roma (e forse ad altri) una sorta di garanzia molto impegnativa: una lettera nella quale il governo si impegnerebbe a chiedere la protezione della Banca centrale in caso di uscita del Regno Unito dalla Ue e di attacco sui mercati ai titoli pubblici o alle banche. In altri termini, la disponibilità a sottoporsi, in caso di emergenza, a un programma concordato in Europa tale da permettere alla Banca centrale di mettere in essere il programma Omt (Outright Monetary Transactions), cioè l’acquisto di titoli dello Stato in misura in teoria illimitata da parte della Bce, in cambio di alcune condizioni alle quali l’Italia dovrebbe accettare di sottoporsi. Una volta sul tavolo di Draghi, un memorandum del genere permetterebbe quasi certamente di bloccare prima ancora che parta ogni attacco di mercato agli asset nazionali. È vero che la situazione della zona euro e dell’Italia è molto migliore oggi di quanto lo fosse nel 2012 quando il ricorso a un programma di «protezione europea» fu preso in considerazione (per poi escluderlo). Ciò nonostante, il timore che un successo della Brexit scateni l’idea che l’Europa non è in grado di superare la crisi e quindi inviti a un attacco contro l’Italia può consigliare la creazione di uno sbarramento certo e insuperabile.
Fattibile? Politicamente, sarebbe una scelta molto difficile per Matteo Renzi. Anche se fosse accompagnata dalla considerazione che si tratterebbe di un passo di responsabilità verso l’eurozona da parte di un governo che reagisce a uno choc esterno e non a una situazione che esso stesso ha creato. E anche se un memorandum del genere fosse tenuto nella cassaforte di Draghi e mostrato solo se la situazione precipitasse. A maggiore ragione, difficile in un momento politico come quello della settimana prossima, reso ulteriormente delicato dai risultati di domenica delle elezioni dei sindaci. La preoccupazione Brexit, però, è forte.