La Stampa 17.6.16
Pensioni e debito, l’Europa va all’attacco dell’Italia
Richiamo Bce su obiettivi non raggiunti e mancato pareggio di bilancio
Mentre l’Eurogruppo dice no ai piani per anticipare le uscite dal lavoro
di Marco Zatterin
La
linea è la stessa del mese scorso. Dall’Eurotower emerge che quella
scattata all’Italia, al suo debito e al modo in cui il governo fatica a
correggerlo, è una «fotografia scientifica». Identifica il male,
insomma. Non fa diagnosi. Si consiglia pertanto di non attribuire
eccessivo valore «politico» al bollettino mensile della Bce, per il
quale i giudizi della Commissione Ue «sulla conformità (dei conti di
Roma, ndr) con la regola relativa al debito non hanno considerato che le
precedenti mancanze in materia di risanamento di bilancio costituissero
un fattore aggravante». Allo stesso modo, «non hanno calcolato in
maniera esauriente l’impatto dei “fattori rilevanti” per assicurare che
eventuali discrepanze rispetto alla regola del debito fossero pienamente
spiegate».
Il nodo flessibilità
Il problema è concreto, le
conseguenze dipendono dal contesto. Negli ultimi due anni l’Italia s’è
conquistata una dose di flessibilità trattando con Bruxelles. Ha
barattato i “fattori rilevanti” - la recessione, le riforme e gli
extra-costi alla voce “migrazioni” - con margini ulteriori di spesa e lo
spostamento degli obiettivi di risanamento. Con i numeri presentati, il
governo Renzi avrebbe dovuto essere punito già nel 2015. La volontà è
stata quella di lasciare la briglia larga al Bel Paese, sperando che
l’aiutasse a tornare in carreggiata.
Sino a un certo punto, però.
La virtuosità contabile deve accompagnarsi con altre regole.
L’Eurogruppo ha ribadito ieri il principio secondo cui è opportuno
«estendere la vita lavorativa e quindi rafforzare il reddito
pensionistico, attraverso misure che aumentino l’occupabilità delle
persone più anziane e che restringano il ritiro anticipato dalla forza
lavoro». Una richiesta di riforma, non riferita a paesi precisi, che non
muove nella direzione delle ultime nuove previdenziali di Palazzo Chigi
che lavora a una ricetta per anticipare
Il bollettino Bce sarebbe
probabilmente d’accordo, sebbene ora si limiti a fare i conti. Per
nulla onorevoli, a dire il vero. Anche perché nel 2015 la differenza fra
gli obiettivi strutturali di correzione e il risultato italiano è stato
di 2,2 punti di Pil (40 miliardi). Ovvio che non ci siamo. Francoforte
ricorda inoltre che a Roma non hanno ancora conseguito il pareggio di
bilancio (slittato al 2019) e il debito è oltre al 60% del Pil, come
accade da decenni. La riduzione del passivo storico è una priorità che
non può passare in secondo piano. Tanto che l’Eurotower raccomanda di
«impiegare per la riduzione del disavanzo eventuali poste positive
impreviste, per esempio risparmi provenienti da pagamenti per interessi
inferiori alle attese».
La politica ha orizzonti differenti. Il
commissario all’Economia, Pierre Moscovici, ha detto ribadito che il
Patto di stabilità che pilota l’Eurozona «va rispettato, per assicurarsi
che deficit e debito scendano, ma deve essere applicato con
intelligenza e flessibilità, tenendo conto del ciclo economico, in
particolare della crescita potenziale, e di quello politico». Si guarda
alla sostenibilità più che ai nudi numeri. Lo fa anche Mario Draghi, da
mesi bacchetta i governi manifestando insoddisfazione per il lento ritmo
delle riforme. Ovvio che le chieda a Roma, Renzi potrebbe fare di più,
eppure l’inazione è un male collettivo e l’impasse un problema più sulla
Senna che sul Tevere. Comunque sia, nota la Bce, «in autunno la
Commissione rivaluterà la ripresa del percorso di aggiustamento verso
l’obiettivo di medio termine sulla base del documento programmatico di
bilancio per l’anno prossimo». Sottinteso è l’invito a essere più
stretti. invito che, con buona probabilità, il partito dei «flessibili»
cercherà di non ascoltare.