giovedì 16 giugno 2016

Corriere 16.6.16
Imbarazzo
Pensiamo a far vincere i candidati dem senza creare imbarazzi
I leader restano sullo sfondo ma le tensioni sono in agguato
di Massimo Franco

In extremis, la politica nazionale sembra defilarsi dal palcoscenico dei ballottaggi di domenica. Dopo avere dominato il primo turno delle Amministrative, i leader debbono avere capito che in alcuni casi la loro presenza è ingombrante, se non controproducente. Sfuma a livello locale la presenza di Matteo Renzi, proiettato sulla scena internazionale; e inseguito da presagi elettorali contrastanti. Silvio Berlusconi è reduce da una seria operazione al cuore, in ospedale. Perfino Beppe Grillo, nella nuova veste di «garante» del Movimento 5 Stelle, rimane sullo sfondo: pronto al massimo a benedire una vittoria di Virginia Raggi a Roma.
È il segno di un’incertezza diffusa, nel centrodestra e nel centrosinistra; e insieme di tensioni represse solo per qualche giorno. Ma c’è da scommettere che siano pronte a riaffiorare con virulenza fin da lunedì. Accanto allo smarcamento dei candidati dai vertici nazionali, e viceversa, si intravedono già gli indizi di quella che si preannuncia come una pesante resa dei conti: in primo luogo nel Pd. La defezione della minoranza del partito dalla giornata di oggi con la quale il governo vuole celebrare l’abolizione di misure come Imu e Tasi suscita polemiche. L’assenza finisce per legittimare di fatto gli attacchi del M5S contro quello che chiama «balle Pd Day».
E in caso di sconfitta a Milano, o magari a Torino, lo scontro interno si inasprirà. La sagoma del «lanciafiamme» evocato da Renzi contro i suoi avversari potrebbe materializzarsi, accusando i vari Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Gianni Cuperlo di non essersi impegnati abbastanza; o, peggio, di avere remato contro i candidati sindaci del partito. Si tratta di uno scontro che promette di aggravare la spaccatura tra i Dem; e di rilanciare le voci di una scissione. La minoranza vede negli avvertimenti di Palazzo Chigi un segno di debolezza e di nervosismo.
Per questo definisce le accuse di «diserzione» come il tentativo di trovare un capro espiatorio preventivo dopo una campagna elettorale punteggiata da errori e sbavature. L’allusione è a qualche battuta infelice di alcuni membri del governo su tagli dei finanziamenti alle città che dovessero «tradire» il Pd. È un’impressione che Renzi corregge dicendo: «Lavoreremo con i sindaci di tutti i colori politici». Ma i distinguo costanti tra i Dem sottolineano una situazione quasi surreale; e allungano ombre sul referendum costituzionale di ottobre. La volontà di sterilizzare le conseguenze del voto di domenica può riuscire se, perdendo magari la capitale, il Pd vince a Milano, città strategica.
Altrimenti, lo scossone sarà inevitabile. Non significa che sarà messo in discussione il governo. Ma potrebbe imboccare il binario del logoramento. Per questo, la vera sfida consisterà non solo nel contare e pesare i municipi vinti o persi, ma nell’analizzare con lucidità e freddezza il segnale che arriverà dal Paese. Non sarà facile, eppure non c’è altro modo per riprendere in mano una situazione avviata su una china scivolosa. Leggere correttamente i risultati servirà a riprendere una strada vincente verso il referendum, «la madre di tutte le battaglie», a sentire Renzi. Fraintenderli, invece, offrirà a un «partito del no» all’attacco un supplemento di forza.