mercoledì 15 giugno 2016

Corriere 15.6.16
il profilo di un’isola
La Sicilia dell’arabo Al-Idrisi e l’esplorazione immaginaria che è l’incanto di ogni libro
di Franco Farinelli

«In via patria» era il motto di Sant’Agostino, vale a dire: la sola patria è il viaggio. E in tempi più vicini a noi un poeta, Ǒsip Mandel’stam, ricordava che «una volta chi non aveva viaggiato non osava scrivere». Al tempo di al Idrisi, nato non molto lontano da dove Agostino aveva iniziato il proprio cammino, sulla faccia della Terra ancora si muoveva ogni cosa, gli esseri umani ma anche la Terra stessa, sebbene non tutte le sue parti allo stesso modo. Una regione, la Sicilia detta allora Trinacria, si distingueva per la sua mobilità, cioè per la propria funzione di piattaforma di ogni traffico e commercio, al punto che una figura a tre gambe, l’antico simbolo orientale del triskelis, ne riassumeva la natura.
Che la Sicilia avesse forma triangolare era noto da quando i primi marinai ne avevano doppiato in fila i tre capi. Ma che tra un capo e l’altro s’interponesse un vettore orientato ovvero un organo di locomozione era qualcosa che soltanto l’esattezza del mito poteva dire, e che nessuna geometria avrebbe saputo rappresentare. Proprio anzi al rifiuto di ogni modello geometrico il simbolo del triskelis, che fa dell’isola una girandola per bambini, deve la propria efficacia e la propria funzione di verità: di capi, cioè di teste, ve n’è soltanto uno, al centro, e i vertici dell’isola corrispondono all’estremità dei tre arti che da esso si estendono per puntare verso est, sud ed ovest.
Non verso nord, e questo al Idrisi non l’avrebbe compreso. Nel 1139 re Ruggero di Sicilia gli comanda di raccogliere ed esporre in forma sintetica tutte le informazioni possibili su tutti i Paesi del mondo allora conoscibile. Ed egli non può ignorare, anche in virtù dell’origine normanna del suo signore, le contrade settentrionali (come l’Estonia e la Finlandia) fino ad allora restate allo scarto dalla concezione mediterranea dell’ecumene, termine con il quale i Greci indicavano il mondo abitato e conosciuto. Prima di morire, Ruggero fece appena in tempo ad ammirare il risultato del lavoro, costato quindici anni di fatica: un enorme planisfero inciso su una lastra d’argento del peso di 150 chili, ed un libro composto di carte e descrizioni intitolato Lo svago per chi brama di percorrere le regioni , rimasto celebre tra gli Arabi con il nome di «libro di Ruggero», il libro da cui muovono oggi gli itinerari suggeriti dalla rassegna «Paesaggi di mare», promossa dall’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana.
Ancora più suggestivo è il titolo della seconda edizione del testo, approntata da al Idrisi per Guglielmo II, che succede a Ruggero: Giardino di diletto e svago dell’anima , oggi perduto. Una terza redazione, che sopravvive in forma di manoscritto, gli fa eco: Giardino di divertimenti e svago degli spiriti . Soltanto nel rileggere questi titoli diventa finalmente comprensibile l’origine dell’accusa di pigrizia che Baudelaire, all’inizio de I fiori del male , rivolge all’«ipocrita» lettore, che dunque è pigro proprio perché in virtù del libro è esentato dalla fatica del viaggio, dal travaglio del cammino, dalla pena dell’esplorazione. Come dire che ogni libro è un libro di geografia perché ogni libro sostituisce all’esperienza concreta delle cose terrestri il loro racconto.
Ma nemmeno del racconto di al Idrisi ci si può fidare del tutto, come mille anni prima di lui aveva spiegato Tolomeo, un altro geografo africano — e il «libro di Ruggero» deve ancora molto alla descrizione tolemaica. Spiega Tolomeo che il modello più fedele della Terra sarebbe una sfera, ma più un modello è fedele più non serve a nulla. Il globo, ad esempio, più è grande più è scomodo, perché per avere qualche informazione bisogna di continuo girarvi intorno o farlo ruotare con le mani. Perciò, suggeriva Tolomeo, fate delle mappe: comodamente seduti vedrete subito con un solo sguardo tutto quello che vi serve. Che è appunto quello che anche i lettori del «libro di Ruggero» sono indotti a fare. Ma soltanto per consentire alla propria fantasia, alla propria anima, al proprio spirito, di dischiudersi e prendere il volo. Qualcosa che Tolomeo a suo tempo ignorava e Baudelaire già disconosceva, ma che al Idrisi, evidentemen te, invece sapeva benissimo.