a Stampa 15.6.16
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Il bis delle onde gravitazionali che ci sveleranno lo spazio e il tempo
Oggi l’annuncio a San Diego: “È l’inizio di una nuova era”
di Attilio Ferrari
Quando
cent’anni fa pubblicò la teoria della Relatività Generale, Albert
Einstein rivoluzionò i concetti di spazio e di tempo sostituendo a
quelli assoluti di Newton uno spazio-tempo «elastico», incurvato dalla
presenza di masse e deformabile. Predisse quindi che l’Universo fosse
attraversato da onde gravitazionali, increspature dello spazio-tempo
prodotte da violenti fenomeni cosmici. Tuttavia concluse che quelle
eteree sinfonie non sarebbero mai state rivelabili perché troppo
elusive.
Mai dire mai: cent’anni dopo lo sviluppo di tecnologie
raffinate ha permesso di costruire strumenti capaci dell’impossibile. Le
stazioni del Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory
(«Ligo») in Louisiana e nel Washington State sono state in grado, il 14
settembre 2015, di «sentire» le prime onde gravitazionali, estraendo il
segnale prodotto dallo scontro e coalescenza di due buchi neri dalla
cacofonia di una pletora di disturbi locali, quali i movimenti
geodinamici, l’infrangersi delle onde del mare, il passaggio di
aeroplani, perfino le vibrazioni di una centrifuga della lavatrice. Sono
realizzate in tunnel di 4 km, dove i rumori sono stati ridotti a
livelli incredibilmente bassi: il «nulla» più spinto mai costruito. E
oggi, a San Diego, al meeting dell’American Astronomical Society,
arriverà l’annuncio di un nuovo «avvistamento»: altre onde, prodotte da
altri due buchi neri.
Nell’affascinante libro «Buchi neri e salti
temporali» (Castelvecchi) il fisico Kip Thorne, fondatore di «Ligo»
insieme con Rainer Weiss e Ron Drever, raccontò i suoi studi per
calcolare la forma del segnale che sarebbe stato prodotto proprio dallo
scontro di due buchi neri. Previde anche che, portate al giusto livello
di precisione le tecniche criogeniche e metrologiche, le onde
gravitazionali sarebbero state rivelate entro il 2007. «Ligo» è arrivato
otto anni dopo, un ritardo assolutamente accettabile! E per un costo di
600 milioni di dollari (non più di un paio di Lionel Messi!).
Altre
stazioni entreranno in funzione: «Virgo» a Cascina, presso Pisa, entro
l’anno, una in Giappone e una India sono in progetto. Ma occorre
costruire strumenti più grandi, perché le onde gravitazionali, come
quelle elettromagnetiche, hanno un intero spettro di lunghezze d’onda,
fissate dalla dimensione delle loro sorgenti cosmiche. Sulla Terra non
si possono raggiungere dimensioni maggiori di 50 km per l’influenza che
avrebbe la curvatura terrestre.
È lo spazio a fornirci una rete
naturale di rivelatori gravitazionali: le pulsar, stelle di neutroni
che, ruotando, emettono impulsi radio ogni millesimo di secondo con una
precisione incredibile, fino al nanosecondo. Quando una pulsar è
investita da un’onda gravitazionale, il suo battito regolare viene fatto
oscillare al livello di qualche nanosecondo: anche il tempo subisce
un’increspatura. Correlando segnali di molte pulsar, si può misurare la
lunghezza d’onda e la direzione d’arrivo del segnale. Il sistema
«International Pulsar Timing Array» è già in fase sperimentale e lavora
con bracci dell’ordine degli anni luce. Potrà quindi investigare la
dinamica dei buchi neri supermassivi al centro delle galassie.
Agli
inizi del 2000 l’Esa ha avviato il progetto «Lisa» (Laser
Interferometer Space Array) per costruire interferometri nello spazio.
Tre riflettori, posti a 5 milioni di km di distanza in orbita intorno al
Sole, si combineranno in un interferometro, galleggiando in assenza di
gravità. «Si pensi al peso di un batterio tenuto nella propria mano:
quella è la massima forza gravitazionale che può essere accettata come
deviazione dalla gravità zero», è l’esempio dato da Paul McNamara,
project scientist dell’Esa. Ed è recentissimo l’annuncio basato sui dati
della sonda Pathfinder che «Lisa» si potrà fare! Ora si sta già
progettando una rete di più stazioni orbitanti, il Big-Bang Observatory,
il cui compito principale sarà quello di studiare il «fondo stocastico
di onde gravitazionali», la sinfonia di onde gravitazionali lasciate dal
Big Bang nel primo secondo di vita dell’Universo.
Siamo agli
inizi di una nuova era, come quando James Maxwell dimostrò che la luce
era un’onda elettromagnetica e Guglielmo Marconi iniziò a trasmettere
segnali radio. Abbiamo costruito «occhi artificiali» per guardare tutte
le onde elettromagnetiche e la nostra visione dell’Universo, da allora,
si è estesa ai raggi X e gamma. E usiamo quelle diverse onde ogni giorno
per trasmettere segnali e indagare il suolo, il mare, l’atmosfera, lo
stesso corpo umano.
Quando avremo in funzione le nuove «orecchie»
gravitazionali, potremo studiare lo spettro delle dinamiche cosmiche che
increspano l’Universo, potremo «sentire» il collasso delle stelle, lo
scontro di buchi neri, il pulsare dei nuclei delle galassie: «sentiremo»
perfino la nascita della materia nel Big Bang. E chissà che cos’altro
impareremo: forse il modo di viaggiare nello spazio profondo e nel
tempo.