Corriere 15.6.16
Lo strappo di Murdoch: il «Sun» per la Brexit
di Fabio Cavalera
Lo
strappo fra il magnate australiano Rupert Murdoch e il leader
conservatore David Cameron si consuma sulla prima pagina del Sun , il
tabloid di Murdoch. Una sberla in faccia all’Europa e al premier. Un
titolo che assembla due verbi ( believe -credere, leave -lasciare) in un
gioco di parole («BeLeave in Britain») con in sottofondo la bandiera,
la Union Jack. Un inno alla Brexit. Così: andiamo per la nostra strada.
L’editoriale è aggressivo: «Dobbiamo liberarci della dittatoriale
Bruxelles».
Altri tempi quelli dell’idillio fra lo
Squalo e David Cameron: non c’era sospiro di Downing Street che non
trovasse rimbalzo sui giornali di Rupert Murdoch. Preistoria. La rottura
fra il magnate australiano e il leader conservatore si è consumata con
la prima pagina del Sun di ieri. Una sberla in faccia all’Europa, una
sberla in faccia al primo ministro. Un titolo che assemblea due verbi
(believe-credere, leave-lasciare) in un gioco di parole («BeLeave in
Britain») con in sottofondo la bandiera, la Union Jack. La sostanza è:
andiamo per la nostra strada. L’editoriale aggressivo: «Dobbiamo
liberarci della dittatoriale Bruxelles (…) sempre più avida, sprecona,
tirannica, incompetente».
Il Sun non è un giornaletto qualsiasi.
Non vende più come una volta e ha perso la leadership domenicale a
favore del Mail . Ma è pur sempre un tabloid-corazzata da quasi due
milioni di copie al giorno. E che, dunque, un peso almeno teorico nel
condizionare il voto del 23 giugno lo ha. Non che l’uscita in pompa
magna di ieri sia stata un fulmine a ciel sereno. Da settimane il Sun ha
sposato l’euroscetticismo con i toni che gli sono congeniali. Però un
certo effetto lo ha prodotto. Il quotidiano si è adeguato nella forma e
nella sostanza alla linea che il suo padrone ha dettato. Rupert Murdoch
qualche mese addietro se ne era uscito con nette dichiarazioni
antieuropee. E con una frase, nel suo stile ruvido: «Perché sono contro
l’Europa? È semplice. Quando vado a Downing Street fanno ciò che dico.
Quando vado a Bruxelles prendono solo nota». La prima pagina e il titolo
di martedì sono stati la notifica ufficiale della rottura con Cameron.
Quanti
voti sposterà lo si capirà fra nove giorni. Certo è che i sondaggi (via
Internet, è bene sottolinearlo) continuano a consegnare pessime notizie
al fronte «Remain» (dai sei ai dieci punti sotto): è vero che gli umori
rilevati telefonicamente (più credibili) dicono il contrario ma la
media ponderata sposta gli equilibri (47 a 45) a favore di chi rivendica
lo strappo, i «brexiteers». Una mano magari la darà la decisione della
Corte di Giustizia europea che ha benedetto le restrizioni al welfare
per i cittadini della Ue senza diritto di soggiorno nel Regno Unito.
Vittoria di Cameron. Comunque i numeri dei sondaggi restano negativi.
Posto
che siano credibili, la palla passa agli indecisi. Soprattutto passa ai
laburisti. Il peso della campagna referendaria per il sì all’Europa se
lo è caricato David Cameron. Negli ultimi due giorni, sul filo di lana,
sono scesi in campo i grossi calibri del Labour. Jeremy Corbyn, il
leader laburista, è rimasto in silenzio per diverso tempo. Il che ha
accentuato il disorientamento nella base.
Corbyn ha rotto gli
indugi toccando un tasto sensibile per il suo elettorato, la sanità
pubblica, e ha ringraziato il contributo che i lavoratori stranieri vi
danno, ha invitato a esprimersi per il sì all’Europa. Probabilmente
troppo poco per convincere i moltissimi simpatizzanti pronti a
pronunciarsi per l’uscita dall’Europa. I laburisti saranno la chiave del
referendum. Che ve ne sia una parte consistente schierata con
l’euroscetticismo lo dimostrano le parole del vice di Corbyn, Tom
Watson, il quale è andato a bastonare uno dei cardini dei trattati
europei: «Le regole della libertà di movimento dovranno essere riviste».
Così i laburisti danzano fra mille imbarazzi: la sinistra del partito
deciderà se Londra resterà in Europa o no
Anche se ormai «il danno
è stato fatto — ha commentato Romano Prodi da Milano —: è passata
l’idea che si possa uscire dall’Unione Europea in qualsiasi momento». E
il cardinale Scola gli ha fatto eco: «L’Europa non è un’opzione ma una
vera necessità. Nessuno Stato nazionale può affrontare da solo la
situazione».