mercoledì 15 giugno 2016

Corriere 15.6.16
La doppia vita del killer della Florida
Era gay, frequentava il bar della strage
Il ruolo ambiguo della moglie Noor: sarebbe stata al corrente del piano del maritodi
di Giuseppe Sarcina

ORLANDO Di giorno sulle biografie di Maometto e i libri di preghiera. Di notte sulle chat per incontri o in giro per i locali gay di Orlando. La doppia, inquietante vita di Omar Mateen, 29 anni, lo stragista del club Pulse, 49 morti e 53 feriti, emerge dalle prime indagini della polizia e dell’Fbi. Ma ci sono altre cose che non tornano nella vita privata e nella ferocia pubblica del killer. Per cominciare la seconda moglie, Noor Zahi Salman, che sembrava scomparsa, in realtà sarebbe rimasta con il marito fino a poco prima della strage. Ieri pomeriggio è tornata nella casa di Fort Pierce, sulla costa della Florida. Scortata dalla polizia perché ora è indagata. Gli investigatori vogliono accertare se sia stata in qualche modo una complice. Omar e la moglie Noor avrebbero acquistato insieme le armi per il massacro; insieme erano stati diverse volte al Pulse e negli scorsi mesi avevano fatto una puntata nel parco divertimenti della Disney. Era anche quello uno dei possibili obiettivi? L’Fbi sta lavorando sulle risposte. E Salman starebbe collaborando.
In ogni caso la personalità di Omar sembra davvero bipolare. Suo padre, Seddique Mateen, ha ripetuto in questi giorni che una volta suo figlio si era infuriato per aver visto due gay baciarsi a Miami. Sitora Yusufiy, la sua prima sposa, invece, ha raccontato che l’ex marito, violento e irascibile, avesse «tendenze omosessuali». Le testimonianze si accumulano, difficile pensare a una serie di coincidenze. Un compagno di scuola ha rivelato che una volta Mateen gli aveva chiesto di uscire.
Ma il dettaglio più sconvolgente è che Omar avesse frequentato più volte il Pulse da solo, come hanno riferito al giornale locale Orlando Sentinel diversi clienti del club gestito dall’italiana Barbara Poma. Il giovane passava diverse ore navigando con l’app Jack’d, specializzata in incontri tra gay.
Infine Jim Wan Horne, un barista di 71 anni, ha dichiarato all’ Ap che «Omar era un personaggio conosciuto nell’ambiente. Andava al Pulse e in altri posti per “rimorchiare” gay». Wan Horne parlava davanti al Parliament House, un resort con piscina, discoteca, albergo e ristorante sul Rock Lake, uno dei tanti laghetti cittadini. All’ora di pranzo il Parliament house è praticamente deserto. Un cliente galleggia su un materassino, due manifesti ritraggono un gruppo di modelli muscolosi, annunciando una festa a bordo piscina. Il personale è chiaramente infastidito. Solo Dan, un cameriere che lavora nel resort da 15 anni, si presta a fare due chiacchiere: «Quel tizio (cioè Omar, ndr ) qui non l’abbiamo mai visto, forse andava solo al Pulse».
La comunità arcobaleno di Orlando, raccolta nel Lgbt Center, definisce tutti questi elementi come «rumors», indiscrezioni «non sostanziate». Il centro è ancora assediato da giornalisti e telecamere in arrivo da tutto il mondo. Inevitabilmente l’accoglienza del primo giorno ha lasciato il posto a un’organizzazione con filtri e regole più strette. Ma Russell Walker, 32 anni, attivista della «Hope & Help», associazione no profit del mondo Lgbt, accetta di commentare: «Ho sentito anch’io queste voci. Personalmente non conoscevo Omar e non ne ho mai sentito parlare. Ma non mi sorprenderei se venisse fuori che frequentava il Pulse o altri locali simili. Certo non sarebbe il primo caso di qualcuno che nasconde, per paura o per altro, il proprio orientamento sessuale».
È davvero agghiacciante sovrapporre queste voci, immaginare il giovane nel suo appartamento anonimo, in un’anonima cittadina della Florida. Magari seduto in salotto, accanto alla cameretta del suo bambino, cercare amicizie maschili e, nello stesso tempo, progettare la strage più sanguinosa nella storia degli Stati Uniti dopo l’11 Settembre.
È sconcertante immaginare Omar chiacchierare nella «lounge» del Pulse e poi rivederlo, seguendo il racconto dei sopravvissuti, come quello fatto da Marcus Godden, giovane afroamericano, nella zona ancora sigillata davanti al locale: «Rideva mentre sparava, tornava a scuotere i corpi sdraiati sul pavimento per accertarsi che fossero morti». Negli ospedali sono ricoverati ancora 29 feriti, sette sono in gravi condizioni.