mercoledì 15 giugno 2016

Corriere 15.6.16
«Sbagliato pensare a un lupo solitario
A centinaia in Francia sono pronti a colpire»
di Stefano Montefiori

PARIGI «Da anni ormai si usa un’espressione sbagliata: lupo solitario, si dice di un terrorista che porta a termine un’azione non particolarmente sofisticata. Ma Larossi Abballa non era affatto solitario, come non lo era l’assassino di Orlando che aveva avuto in passato legami con Al Qaeda, e come non lo sono stati tutti gli attentatori degli ultimi anni, soprattutto in Francia. Chiamarli lupi solitari comporta una sottovalutazione del problema», dice Wassim Nasr, specialista dello jihadismo e recente autore di un saggio molto apprezzato, «Etat Islamique, le fait accompli» (Plon).
Larossi Abballa era già stato condannato per terrorismo ma ha potuto uccidere. Ancora una volta gli autori degli attentati sono conosciuti dalle autorità, che però sono incapaci di fermarli. Come è possibile?
«È sorprendente fino a un certo punto. Viviamo nello stato di emergenza ma pur sempre in uno Stato di diritto ed è difficile dire che cosa si poteva fare di diverso. Abballa era stato condannato, aveva scontato la sua pena, era schedato e quindi tenuto sotto controllo, le sue telefonate erano ascoltate dai servizi. Ma non si è mai tradito e non ha mai detto nulla che potesse fare pensare alla preparazione di un attentato».
Abballa ha colpito da solo, dopo essersi affiliato allo Stato islamico tre settimane fa. Perché è sbagliato chiamarlo «lupo solitario»?
«Perché nello jihadismo non esistono lupi solitari, ogni terrorista ha contatti, ramificazioni, complicità. Il solo lupo solitario negli ultimi anni è stato il norvegese Anders Breivik che con la jihad non ha nulla a che fare. Anche Omar Mateen, omosessuale represso o no, aveva un amico che si era fatto esplodere per Al Qaeda. Nessuno si sveglia un giorno e decide da solo di fare un attentato invocando lo Stato islamico».
Oggi ci sono due arresti legati a Larossi Abballa.
«Che inoltre conosce persone dell’Isis in Siria. Altrimenti non sarebbe stato qualificato “Soldato del Califfato” come ha fatto lo Stato islamico nella rivendicazione. Lo avrebbero chiamato simpatizzante, sostenitore. Il linguaggio usato è preciso e non casuale».
L’Isis non può mettere a posteriori il marchio su iniziative individuali?
«Lo Stato islamico non rivendica mai azioni che non lo vedono coinvolto. Per esempio, i capi dell’Isis hanno evitato di rivendicare il disastro del volo Egyptair, anche nelle ore in cui tutti parlavano solo di loro. Lo fanno per una strategia politica a lungo termine, cioè vogliono essere credibili, soprattutto agli occhi di quelli che cercano di convincere».
Perché ha intitolato il suo libro evocando un «fatto compiuto» a proposito dello Stato islamico?
«Per dire che, qualsiasi cosa accada, sono riusciti a costruire il loro sistema ideologico e politico. Se domani perdono i loro territori in Siria e Iraq, continueranno a minacciarci. Sono già riusciti a rimettere in discussione la libertà di circolazione in Europa. Centinaia di persone in Francia sono pronte a fare quel che ha fatto Abballa. Dobbiamo capire che hanno una visione politica, e ce l’hanno anche quelli che noi chiamiamo, sbagliando, i “Lupi solitari”. Possono essere squilibrati o emarginati quanto vogliamo, ma ubbidiscono a una logica, a un disegno e a una comunità di intenti».