Corriere 14.6.16
Gabriel, il padre quelle parole specchio della Germania
di Danilo Taino
Il
vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, 56 anni, socialdemocratico,
aveva deciso di dire che, nella campagna contro gli immigrati, il
movimento di destra radicale Alternative für Deutschland (AfD) usa
argomenti nazisti. L’ha fatto in un modo non usuale e interessante.
«Tutto quello che dicono l’ho già sentito, tanto per essere chiari, da
mio padre, che è stato un nazista fino all’ultimo respiro», ha
sostenuto.
La frase è efficace perché viene rafforzata dalla nota
personale e soprattutto perché entra in profondità in tante case
tedesche, che l’esperienza di qualche familiare nazista l’hanno vissuta e
la vivono, e nell’anima stessa del Paese.
Walter Gabriel, il
padre del vice cancelliere, trascorse decenni di odio e di frustrazioni
dopo la fine della guerra mondiale, convinto che l’Olocausto fosse
un’invenzione e certo della giustezza delle teorie di Hitler. Visse tra
giornali e saggi di estrema destra, fu violento in famiglia, picchiò il
figlio che aveva avuto in custodia dopo il divorzio.
Fino alla
ribellione di quest’ultimo che, dopo la morte del padre novantunenne nel
2012, raccontò di non avergli parlato per vent’anni e di avere, come
reazione giovanile, trascorso intere estati a fare da guida nel campo di
Auschwitz.
È la storia di tanti tedeschi che con il passato hanno
fatto i conti mettendolo in contrapposizione agli affetti. Di più: è la
storia di una Germania che, dopo l’orrore, ha dovuto e voluto
psicanalizzare a fondo se stessa. Nella vita di ogni giorno.
Ed è
la ragione per la quale ora è improbabile che le posizioni xenofobe si
avvicinino alla maggioranza dei consensi: la storia forse non è in grado
di immunizzare
del tutto una Nazione, ma nel caso della Germania
l’ha costretta a diventare un altro Paese. AfD — che tra l’altro non è
in maggioranza composta da nazisti — è data oggi
al 12-15 per cento: difficilmente andrà molto oltre.