Corriere 14.6.16
Più bambina che santa Maria Goretti rivisitata
Aurelio Picca sul luogo del delitto per le edizioni San Paolo
di Cristina Taglietti
La
«vita esagerata» di Maria Goretti comincia dalla fine: la sua morte,
anzi la sua autopsia («Marietta addizionò sul corpo quattordici ferite
da arma perforante. Anche il cuore fu trafitto»). E la sua storia si
intreccia indissolubilmente con quella di chi ha deciso di raccontarla.
Capelli di stoppia è il titolo del libretto che Aurelio Picca dedica
alla santa e martire della Chiesa, uccisa da un vicino di casa a seguito
di un tentativo di stupro, canonizzata nel 1950 da Papa Pio X. Fa parte
di una nuova collana, «Vite esagerate» appunto, curata da Davide
Rondoni per l’editore San Paolo. L’intento è di raccontare esistenze
straordinarie, da Ildegarda di Bingen a Etty Hillesum, da Giulia Barolo
fino a Fratel Ettore: grandi avventure unite dal filo della fede ma
ancora di più dal passo letterario con cui vengono trattate. Picca lega
la storia di Maria Goretti alla sua, scrive in prima persona cercando
una nuova strada per parlare di lei, della «pizza di granoturco che
mangiava», della «cicoria selvatica che strappava alla terra».
L’autore
parte da Conca, la frazione di Latina dove la famiglia di Maria viveva e
dove anche il nonno di Picca, Aurelio, repubblicano e mangiapreti,
andava al mercatino. È lo stesso humus rievocato nell’epico Se la
fortuna è nostra , romanzo-testimonianza dedicato proprio alla storia
della sua famiglia. È lo stesso approccio corporale, sanguigno, febbrile
che unisce memoria e reportage.
Picca innesta frammenti della sua
infanzia sulle testimonianze della vita di Marietta raccolte in loco o
ripescate dalla propria memoria. Così la storia dei genitori di Maria
(gente che sulla «lista della vita aveva incisa la parola “realtà”, che
si traduceva in lavoro, sacrificio, rispetto, figli»), è simile a molte
altre che il nonno gli raccontava. Così i lutti di Marietta sono simili
ai suoi. Picca va a cercare il corpo della bambina nella cripta che
accoglie le sue spoglie, vuole ricostruirne le misure e le sembianze
giacché non esistono fotografie ma soltanto dipinti creati su ricordi
estemporanei e passati di bocca in bocca («credo che Maria Goretti
avesse gli occhi di un verde di erba selvatica e di foglie di ulivo. Un
verde screziato. Impastato dall’acqua e dal vento»). Con Vittoria, la
sua figlioccia, quasi coetanea di Marietta, va a visitare la casa in cui
la bambina viveva, di fianco a quella del suo assassino, in una natura
fatta di abitazioni primitive, acquitrini e boscaglie.
Le pagine
sono un continuo contrappunto tra la ricostruzione della vita di
Marietta e le memorie dell’autore, in una corrispondenza di luoghi ed
eventi che fanno di lei una «sorellina di dolore e morte», sua, ma anche
di Vittoria, che diventa in qualche modo protagonista. Picca non fa un
libro sulla santità ma sul corpo dei bambini, riuscendo a sottrarre la
figura di Maria Goretti a ogni forma di strumentalizzazione e retorica,
al «santino» in cui per tanti anni è stata relegata.