domenica 12 giugno 2016

Corriere 12.6.16
«Ghira, il Circeo e la ferocia maschile ancora fra di noi»
Lo scrittore Edoardo Albinati e i resti identificati a Melilla
di Elvira Serra

Il corpo riesumato a Melilla sotto il nome di Massimo Testa de Andres è di Andrea Ghira, uno dei tre mostri del Circeo — con Angelo Izzo e Gianni Guido —, l’unico condannato in contumacia per il massacro del 29 settembre 1975 in cui Rosaria Lopez fu seviziata, violentata e uccisa assieme a Donatella Colasanti, che si salvò fingendosi morta. Attorno a questa pagina nera della cronaca italiana, Edoardo Albinati ha scritto per Rizzoli La scuola cattolica , candidato al Premio Strega 2016.
Che emozione le ha procurato sapere che il Dna del legionario spagnolo Testa de Andres coincide, senza più dubbi, con quello di Ghira?
«A me personalmente, nessuna. Semmai conferma una mia idea, e cioè che la realtà si riprende il pieno diritto di essere inesplicabile. Mi ritorna in mente Amleto quando dice: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”».
Che cosa intende?
«Il fatto straordinario che emerge da questa nuova perizia è che la realtà è davvero imprevedibile e romanzesca. Penso a tutte le stranezze che avevano fatto sorgere forti dubbi sull’autenticità della prima identificazione di Ghira. Per esempio, la famosa fotografia del ritrovamento del corpo una settimana dopo la morte, riverso su uno sgabello, in mutande, con il mento dentro il cassetto del comodino e la siringa dell’overdose che sporgeva da sotto le natiche. Su quella assurda foto si sono scatenate le più fantasiose decostruzioni online , e invece pare che sia proprio così che muore un fuggiasco eroinomane».
Ora si chiude un cerchio?
«Sì, è certo. E anzi spero che si diano pace, finalmente, quanti erano turbati sul piano umano dall’ipotesi che Ghira fosse ancora vivo».
Cambia qualcosa per il suo libro, che nel massacro del Circeo ha trovato la forza centripeta?
«Non direi. Dal punto di vista di quello che ho scritto non cambia nulla. Non ho una mia ricostruzione personale che poteva essere smentita o confermata dall’indagine. Quando ho cominciato a scrivere La scuola cattolica , a partire dal momento in cui Angelo Izzo in semilibertà ha strangolato a Campobasso Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, madre e figlia, non ho pensato di fare un lavoro come A sangue freddo di Truman Capote. Non ero interessato a una ricostruzione basata sulle persone reali, ma sui miei ricordi, sulla fantasia e sulle carte giudiziali».
Eppure lei è stato compagno di scuola di Izzo, Guido e Ghira, all’istituto maschile San Leone Magno di Roma.
«Ho deciso di ritornare a quei fatti non solo e non tanto per raccontare i crimini, quanto per descrivere la scuola, le famiglie, il quartiere Trieste dove gli assassini ed io e tante altre normalissime persone erano cresciuti. Gli anni Settanta segnano un culmine e una frattura, e in particolare quel 1975 in cui fu consumato il delitto: sono passati alla storia come gli anni di piombo, ma io preferirei chiamarli anni di piombo e oro, perché racchiudevano anche la scoperta del mondo».
Oggi possiamo seppellire una volta per tutte la strage?
«Così come ora si sa che è Ghira l’uomo sepolto nel cimitero di Melilla, io credo che si possa definitivamente seppellire il delitto del Circeo. Io stesso ho scritto il mio libro per cancellare quei fatti, lasciarmeli per sempre alle spalle».
E non è importante, ricordare?
«Quello che non si può scordare è che quella stessa violenza, di maschi su femmine, è sempre viva, è attuale, è ancora in mezzo a noi, quotidiana e feroce come è sempre stata e come dimostra la cronaca anche recente. Non c’è affatto bisogno di un mostro sadico per scatenarla».
Cosa pensa di Guido, Izzo e Ghira?
«Uno è libero da qualche anno, uno è di nuovo all’ergastolo, il terzo è morto. Beh, mi sembra che abbiano procurato sufficiente distruzione agli altri e a se stessi».
Lei insegna lettere nel carcere di Rebibbia. Ha mai incontrato Izzo o Guido?
«No, mai, nessuno di loro, né mi avrebbe incuriosito o stimolato farlo».