Corriere 11.6.16
Contratto metalmeccanici, lo stallo non aiuta la ripresa
di Dario Di Vico
È
sempre più probabile che il «rinnovamento» del contratto nazionale dei
metalmeccanici venga rimandato a settembre. In questi giorni con una
serie di azioni articolate sul territorio i sindacati di categoria
stanno facendo sentire la loro pressione ma appare comunque più come una
risposta dovuta che il tentativo di dare una spallata. Va riconosciuto a
Fiom-Fim-Uilm di aver osservato finora una linea di grande compostezza,
in un Paese dove ci si indigna e si sbraita per un tweet di un
avversario politico, le organizzazioni sindacali hanno saputo tenere i
nervi a posto e esibire la loro «forza tranquilla». Nei cortei si
registra un’unità tra le componenti sindacali che era tutt’altro che
scontata dopo anni di divisioni e comincia a farsi notare la presenza di
diversi lavoratori extracomunitari con tanto di pettorina sindacale.
Nella storia delle relazioni industriali italiane il contratto dei
metalmeccanici ha sempre avuto un ruolo significativo, spesso ha
anticipato soluzioni nuove o sperimentato format diversi, è stato poi
sicuramente un valido termometro dei rapporti tra le parti.
Nel
caso odierno siamo per certi versi ritornati ai fasti del passato perché
questo rinnovo — per i contenuti che sono stati messi in campo — segna
una forte discontinuità e può aprire una pagina del tutto nuova. Il
rinvio a settembre di per sé non è drammatico visto che i rinnovi sono
durati anche un anno in altre tornate e il numero delle ore di sciopero
pur alto (16) è inferiore alle precedenti stagioni. Il guaio è che lo
slittamento a dopo le ferie corrisponde a uno stallo e non si capisce
come se ne possa venir fuori. La Federmeccanica ha spiazzato i sindacati
presentando una piattaforma giudicata da molti innovativa e che
sostanzialmente prevede concessioni in materia di sanità integrativa, il
principio delle formazione garantita per tutti i lavoratori e
l’erogazione di aumenti salariali legati ad effettivi incrementi della
produttività. L’assenza di inflazione avrebbe dovuto rendere ancora più
facile trovare un punto di mediazione perché di fatto, almeno
inizialmente, toglie dal tavolo un elemento di forte contraddizione come
il meccanismo dell’Ipca (inflazione programmata), che aveva portato i
datori di lavori a erogare salario compensativo non giustificato da
aumenti del costo della vita. Non è stato così.
Sul welfare
sanitario e sulla formazione i sindacati hanno recepito positivamente la
novità attribuendosene persino la paternità ideativa, sul salario però
insistono che si debba prevedere un aumento nazionale uguale per tutti
anche nel caso in cui il salario individuale fosse nettamente superiore.
Su questa richiesta pesa la cultura tradizionale della contrattazione
sindacale e in qualche maniera l’orientamento delle confederazioni
Cgil-Cisl-Uil decisamente continuista. I metalmeccanici vantano un
gruppo dirigente solido, imperniato su tre segretari generali (Maurizio
Landini, Franco Bentivogli e Rocco Palombella) di cui sentiremo parlare
molto negli anni a venire, ma finora è prevalsa la cautela. Condita da
parole d’ordine imperniate sul blocco degli straordinari per cercare di
dividere il fronte degli imprenditori. La verità, però, è che oggi gli
scioperi colpiscono durante un 30% delle imprese che ha bisogno di
produrre e di aumentare l’orario, per il restante 70% il danno è molto
relativo. Anche per questo la base degli imprenditori meccanici è decisa
ad andare fino in fondo e a non firmare mediazioni deboli come quelle
siglate da chimici e alimentaristi. Vuole riconoscere aumenti salariali
anche significativi ma solo a fronte di incrementi paralleli della
produttività. Mai più sommatorie tra livello nazionale e paghe ottenute
in fabbrica.
Il governo che aveva adombrato l’intenzione di
intervenire sulla materia con un atto d’imperio, grazie al pragmatismo
del sottosegretario Tommaso Nannicini sembra disposto ad attendere ma si
sente la necessità di sbloccare il negoziato. Altrimenti la riforma
delle relazioni industriali sarà ancora una volta rinviata alle calende
greche delegittimando ulteriormente il ruolo del contratto nazionale. La
debolezza della ripresa e dell’aumento del Pil dovrebbe spingere invece
tutti a prendere decisioni coraggiose e utili, che per altro figurano
nelle «raccomandazioni» arrivateci da Bruxelles.