Corriere 10.6.16
La Rai, le teche e la tv che non è all’altezza del passato
di Aldo Grasso
Ma
la Rai può vivere solo del suo repertorio? D’estate smette gli abiti
del Servizio pubblico? Non si rischia, in questo modo, di mostrare la
propria inadeguatezza rispetto al passato? Mentre su Rai1 va in onda
«TecheTecheTè», la rubrica quotidiana che saccheggia allegramente le
teche di Viale Mazzini, che fa la nuova Rai3?
Ripropone un
programma analogo, «#Tre Tre 3» (c’è persino una voluta assonanza nel
titolo), con un’antologia di frammenti della stagione «mitica» della
rete: «Avanzi», «La Tv delle ragazze», «Il postino» di Chiambretti, «La
cartolina» di Barbato, «Il caso Scarfoglia» di Corrado Guzzanti, «Su la
testa», «Eppur si muove» con Beniamino Placido e Indro Montanelli, i
Broncoviz, «Cinico tv», «Magazine tre» con le critiche televisive di
Oreste De Fornari… La riproposta del repertorio si presta a diverse
interpretazioni. Come ci spiega Roberto D’Agostino su Sky Arte, «Dago in
the Sky», la creatività è morta da tempo e questa nostra società
variamente descritta come post moderna, post storica, neobarocca, vive
sulla citazione.
La citazione è insieme lo strumento e la nota
dominante della società della sostituzione: in un’epoca dove tutto è già
stato detto, tutto è già stato visto, non ci resta che procedere nella
combinazione di nuove figure, assemblando spezzoni di frasi e di
sequenze. Anche la tv rincorre se stessa. Com’è già successo con
«TecheTecheTè», il grande deposito storico della Rai è costituito
principalmente dall’intrattenimento, dalla distrazione. Dunque, ciò che
viene continuamente riciclato è la parte che meno caratterizza l’anima
del servizio pubblico. La Rai3 di Angelo Guglielmi aveva già un suo
laboratorio di rivisitazione, «Blob», che interpretando lo spirito dei
tempi viveva (e vive) sugli accostamenti più incongrui. Per le leggi del
palinsesto, «#Tre Tre 3» è l’anti Blob? Col tempo cambiamo e il nostro
occhio cambia ciò che guardiamo, ma non siamo mai all’altezza del
passato.